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Il Principe – Machiavelli

Un manuale su come si debba fare per mantenere e gestire il potere

Per tutti noi che anche senza accorgercene negoziamo e gestiamo tutti i giorni, la lettura del “Il Principe” di Niccolò Machiavelli (1469 -1527 d.C.) è assolutamente indispensabile.

Il Principe” è un manuale su come si debba fare per mantenere e gestire il potere, perché per Machiavelli è più difficile mantenerlo che conquistarlo.

Letto e studiato nelle università e nelle accademie soprattutto in molti paesi stranieri quali Russia, Cina e Stati Uniti, “Il Principe” di Machiavelli dopo 500 anni, nonostante i profondi elementi di cambiamento dei nostri tempi, può considerarsi un testo ancora attuale, in quanto l’umanità’ rispetto a quando il libro è stato scritto non è poi tanto cambiata.

Le persone infatti sono rimaste abbastanza uguali a loro stesse, con i loro difetti e cattiverie che inducevano Machiavelli a giudicare la realtà per quello che è e non per quello che dovrebbe essere.

Da Machiavelli deriva inoltre il termine “Machiavellismo”, oggi in uso in tutto il mondo, che indica il ricorso agli strumenti e ai mezzi più spregiudicati, pur di raggiungere il “fine” ed è sinonimo di intrigante, astuto e spregiudicato nei rapporti sociali. Inoltre, il famoso motto: Il fine giustifica i mezzi che comunque non compare mai in questi termini nella sua opera, si è diffuso ingiustamente come sinonimo di cinismo, opportunismo e di assenza di scrupoli.

Quello che ora segue (con adatt.) sono alcuni stralci presi da alcuni dei 26 capitoli di “Il Principe”, tra più significativi ed interessanti per la tipologia di argomento che stiamo trattando in questo blog.

Il Principe Machiavelli

La volpe e il leone – Saper usare bene sia le qualità della bestia che quelle dell’uomo

Ognuno ben comprende quanto sia lodevole per un principe essere leale e vivere in modo onesto e non ingannevole.

Tuttavia, si vede per esperienza, ai tempi nostri, che coloro che hanno tenuto poco conto della parola data e ingannato le menti degli uomini, hanno saputo prevalere su coloro che invece si sono fondati sulla lealtà.

Dovete dunque sapere come ci siano due modi di combattere:

  1. l’uno con le leggi,
  2. l’altro con la forza.

Il primo è proprio dell’uomo, il secondo delle bestie: ma, siccome il primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo.

Pertanto, è necessario che un principe sappia usare bene sia le qualità della bestia che quelle  dell’uomo.

Questo insegnamento è stato insegnato ai principi indirettamente dagli antichi scrittori; essi scrivono come Achille e molti altri di quei principi antichi furono affidati, perché li crescesse, al centauro Chirone, affinché li educasse sotto la sua disciplina.

Aver per educatore qualcuno mezzo bestia e mezzo uomo non vuol dire altro se non che è necessario che un principe sappia servirsi dell’una e dell’altra natura; e l’una senza l’altra non dura nel tempo.

Posto dunque che un principe debba saper usare bene la natura della bestia, tra le bestie dovrà prendere esempio dalla volpe e dal leone.

Infatti, il leone non sa difendersi dalle trappole e la volpe non riesce a difendersi dai lupi.

Bisogna, dunque, essere volpe (astuti) per riconoscere le trappole, e leone (forti) per spaventare i lupi.

Coloro che semplicemente si limitano a essere leoni (che fanno solo uso della violenza e della forza), non sono capaci a governare.

Pertanto, un signore prudente non può, né deve, rispettare la parola data, quando tale rispetto lo danneggi o si riveli contrario ai suoi interessi e quando siano venute meno le ragioni che lo portarono a promettere.

E, se gli uomini fossero tutti buoni, questa norma non sarebbe buona, ma siccome sono malvagi, e non manterrebbero la parola data nei tuoi confronti, anche tu non devi mantenerla nei loro.

Né a un principe sono mai mancate occasioni legittime per camuffare tale inosservanza.

Di questo si potrebbero dare infiniti esempi moderni e dimostrare quante paci, quante promesse sono diventate inutili e vane per l’infedeltà dei principi; e colui che ha saputo meglio ricorrere all’astuzia della volpe è riuscito a fare meglio.

Ma è necessario sapere camuffare bene questa natura volpina, ed essere grande simulatore e dissimulatore; e sono tanto semplici gli uomini, e tanto obbediscono alla necessità del presente, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare.

 

La crudeltà e la clemenza – è meglio essere temuti o amati ?

Normalmente ciascun principe desidera essere ritenuto clemente, e non crudele: tuttavia deve stare attento a non usare male la clemenza.

Pertanto, un principe non deve preoccuparsi di essere considerato crudele, se questo può mantenere i suoi sudditi uniti e fedeli; perché con pochissime condanne esemplari, sarà più clemente di coloro che, per troppa pietà, lasciano che i disordini si aggravino fino a far nascere uccisioni e rapine, e queste solitamente recano danno all’intera collettività, mentre le condanne del Principe colpiscono il singolo individuo.

Cionondimeno deve comportarsi in un modo che l’eccessiva fiducia non lo renda imprudente e l’eccessiva diffidenza non lo renda crudele.

Nasce da ciò la questione se è meglio essere amati o temuti ?

La risposta giusta è che si dovrebbe essere sia amati che temuti, ma poiché è difficile ottenere tutte e due le cose, risulta molto più sicuro, dovendo scegliere, esser temuti che amati.

Perché degli uomini in generale si può dire questo: non sono mai riconoscenti, cambiano idea facilmente, sono falsi e bugiardi, scappano davanti ai pericoli e vogliono sempre guadagnare.

Quando fai loro del bene sono tutti dalla tua parte e ti offrono il loro sangue, i loro beni, la loro vita e i loro figli, ma solo quando tu non sei in pericolo e non ne hai bisogno. Ma quando però il pericolo si avvicina, essi ti voltano le spalle.

E quel principe che aveva riposto fiducia nelle loro parole, si ritrova senza aiuto e va in rovina. Perché le amicizie basate sul pagamento di un prezzo è come se fossero prese a prestito, non le possiedi davvero e, al momento del bisogno, non le puoi spendere. Ciò a differenza delle amicizie che hai conquistato grazie alla tua grandezza d’animo e alla tua generosità.

Gli uomini hanno meno timore di offendere uno che si faccia amare anziché uno che si faccia temere. L’amore è infatti un legame che viene rotto dagli uomini cattivi, quando conviene. Invece la paura delle punizioni non abbandona mai gli uomini e mantiene vivo il timore verso il loro signore.

Ciò nonostante il principe deve farsi temere in modo che, pur non conquistando l’amore dei sudditi, non si faccia comunque odiare. Infatti il principe deve essere temuto, ma non odiato. Perché essere temuti e nello stesso tempo non odiati sono due cose che vanno bene insieme. Questo succede quando il principe si astiene dal toccare i beni dei suoi cittadini e dei suoi sudditi e quando rispetta le loro donne.

E se il principe avesse la necessità di colpire qualcuno, deve farlo quando vi sia un valido motivo. Ma soprattutto deve astenersi dall’appropriarsi della roba degli altri, perché gli uomini dimenticano più facilmente la morte del padre che la perdita dei loro averi. I motivi per prendere le cose degli altri non mancano mai e chi comincia a vivere con le rapine trova sempre dei modi per rubare. Invece le condanne, specie quelle a morte, sono più rare perché i motivi per ordinarle vengono a mancare più facilmente.

Quando il Principe comanda un esercito e moltissimi soldati, non deve preoccuparsi se viene chiamato crudele, perché senza questo nome non terrà mai unito un esercito e non affronterà mai un’impresa.

Tra le grandi imprese di Annibale c’è anche questa: egli aveva un esercito molto numeroso, composto da uomini molto diversi tra di loro. Lui lo guidò in imprese militari e terre straniere senza che ci fosse mai una discussione, né fra di loro né verso il principe, nella cattiva e nella buona sorte.

Questo è stato possibile grazie alla sua disumana crudeltà che, insieme alle sue altre qualità, lo rese degno di rispetto e di paura. Senza la crudeltà le altre qualità non sarebbero bastate.

 

Saper arrecare del male e comportarsi in modo crudele se spinti dalla necessità

C’è tanta differenza tra come si vive e come si dovrebbe vivere.

Un uomo che voglia sempre comportarsi da persona buona è inevitabile che cada in rovina in mezzo a tanti che non sono buoni, per cui è necessario che un principe, che vuole conservare il potere, impari a poter non essere buono, e a usare o non usare la capacità di poter fare del male secondo le necessità.

Potendo non ci si deve allontanare dal fare del bene, ma bisogna però saper fare del male e comportarsi in modo crudele se spinti dalla necessità.

Le crudeltà possono essere suddivise in due tipologie: male usate o bene usate.

Bene usate si possono chiamare quelle crudeltà (se del male è lecito dir bene) che si fanno in una sola volta, per la necessità di mettersi al sicuro, ma poi non se ne fanno più e vengono prese decisioni per assicurare ai propri sudditi il maggior vantaggio possibile.

Male usate sono quelle crudeltà che, pur essendo poche all’inizio, crescono col passare del tempo, piuttosto che cessare. Coloro che seguono il primo modo possono, sul piano religioso e umano, trovare qualche rimedio per restare al potere; gli altri è impossibile che lo mantengano.

Ne consegue che tutti i provvedimenti violenti che è necessario prendere si devono fare tutte in una volta, affinché, provandole una volta sola, provochino minori conseguenze; i benefici invece devono essere elargiti un poco alla volta, affinché possano essere gustati meglio.

 

Il Principe Niccolo Machiavelli

Il potere della fortuna

Molti hanno creduto e credono che le cose del mondo siano a tal punto determinate dalla fortuna e da Dio, che gli uomini, per quanto siano saggi, non sia concesso in alcun modo cambiarle.

Questo potrebbe far pensare che non ci si debba affaticare molto, e che si debba invece lasciarci governare dalla sorte.

Tale opinione è oggi molto diffusa, a causa dei grandi sconvolgimenti avvenuti in questi anni, che nessuno avrebbe potuto prevedere. Anch’io sono stato talvolta propenso a credere che tale opinione fosse fondata.

Tuttavia, affinché il nostro libero arbitrio non sia cancellato, reputo che possa essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma anche che lei ci lasci governare l’altra metà, o quasi. E paragono la fortuna a uno di quei fiumi disastrosi che, quando s’infuriano, allagano pianure, abbattono alberi e edifici, strappano masse di terra da una parte e le trascinano da un’altra; ciascuno fugge davanti a loro senza potervi opporre ripari in nessun modo.

La consapevolezza che i fiumi siano fatti così non impedisce però che gli uomini, nei periodi di bel tempo, vi provvedano con ripari e con argini, in modo che, quando i fiumi poi crescono, possano essere incanalati e la loro forza distruttiva non sia né così sfrenata né così dannosa.

Un principe che si basa unicamente sulla fortuna perde il potere non appena questa cambia.

Mantiene invece il potere colui che adatta metodi e mezzi alla qualità dei tempi, e allo stesso modo andrà incontro all’insuccesso colui che viceversa non sa adattarsi ai tempi.

Vediamo infatti che gli uomini, per raggiungere il fine che si sono proposto, vale a dire la fama e la ricchezza, si comportano nei modi più diversi; uno con prudenza, l’altro con impeto; uno con violenza, l’altro con astuzia; uno con pazienza, l’altro con impazienza; e ciascuno di questi modi può permettere di raggiungere il fine che si voleva raggiungere.

Vediamo pure che di due persone prudenti, una raggiunge il suo scopo e l’altra no.

E analogamente vediamo che due persone possono prosperare con due caratteri diversi, essendo l’una prudente e l’altra impetuosa: tutto dipende dalla qualità dei tempi e dal fatto che i tempi si accordino o no con l’operato umano.

Da ciò deriva quel che ho detto: che due persone, diversamente operando, sortiscono il medesimo effetto, mentre due altre, operando allo stesso modo, l’una raggiunge il suo fine e l’altra no.

Da questo dipende la variabile del successo: se uno si comporta con prudenza e pazienza e i tempi che richiedono queste qualità si accordano col suo comportamento, allora ha successo; ma se i tempi e le vicende mutano, egli rovina se non mutano anche i suoi comportamenti.

Ma non si trova un uomo così prudente che sappia adattarsi ai cambiamenti; sia perché non ci si può allontanare dalla propria inclinazione naturale, sia perché, avendo sempre prosperato mantenendo un certo comportamento, non si persuade ad abbandonarlo.

Ecco perché un uomo cauto quando è tempo di slanci, non sa farlo e viene sconfitto.  Se egli riuscisse a cambiare coi tempi, anche la sua fortuna non cambierebbe.

Concludo, dunque, che essendo mutevole la fortuna, se gli uomini sono ostinati nell’usare i loro metodi, hanno successo finché metodi e tempi concordano, ma non appena discordano perdono il potere.

Nonostante tutto io penso che sia meglio essere impetuosi che cauti, perché la fortuna è donna ed è necessario, volendola tenere sottomessa, batterla e dominarla.

E si vede che si lascia sottomettere più dagli impetuosi, che da coloro che si comportano freddamente.

E oltretutto sempre, come donna, è amica dei giovani, perché sono meno cauti, più impavidi più audaci nel comandarla.

Informazioni storiche su Machiavelli e sul contesto in cui “Il Principe” è stato scritto

Niccolò Machiavelli è nato a Firenze nel 1469. Dopo aver compiuto studi umanistici, intraprende la carriera nei pubblici uffici della città.

In quegli anni il signore della città di Firenze era Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico. Alla morte di Lorenzo subentro nel controllo della città il figlio Piero (1472 – 1503).

Purtroppo Piero non aveva la stessa autorevolezza del padre Lorenzo e dopo soli due anni (il 9 novembre 1494) fu cacciato dai fiorentini che proclamarono la Repubblica.

In quel periodo ne approfitta il frate domenicano Gerolamo Savonarola per farsi arbitro della vita fiorentina.

Il 23 maggio del 1498 avviene la caduta di Savonarola. Machiavelli che era ostile “ai piagnoni” (i seguaci del frate) ma non si identificava neppure con i “palleschi” (sostenitori dei Medici) diventa responsabile della seconda cancelleria (quella che si occupava dell’attività militare e diplomatica) e poi anche segretario dei “Dieci di balia”[1]. Per i suoi incarichi compie varie missioni presso le corti italiane ed europee, accumulando molteplici esperienze e profonde conoscenze intorno alla politica.

Si potrebbe pensare che la vita di Machiavelli durante il suo periodo di segretario della Repubblica fosse quella di un grande diplomatico o di un ambasciatore.

Più semplicemente invece fu quella di un funzionario, di un burocrate che segue gli ordini e si dibatte in mezzo ad intrighi di colleghi ed a preoccupazioni economiche.

È vero comunque che come avviene agli impiegati di grado superiore dei ministeri, egli fu molto spesso incaricato di missioni sia in Italia, sia all’estero e poiché vi adempiva molto bene, ciò gli permise di esercitare un’influenza ufficiosa sulla diplomazia fiorentina.

Dopo 14 anni di servizi oculati e devoti alla Repubblica, la carriera di Machiavelli si interrompe nel 1512. La Repubblica venne infatti risucchiata nella lotta tra il Papa Giulio II ed il re di Francia Luigi XII. La milizia della repubblica fiorentina[2]  venne decimata dalle forze della Lega Pontificia e i partigiani dei Medici approfittarono della situazione per ristabilire gli stessi, al governo di Firenze.

L’Albergaccio di Machiavelli in Sant’Andrea di Percussina

Esonerato da ogni incarico politico è costretto a ritirarsi dalla vita politica, dopo un breve periodo di carcere, nel febbraio 1513, perché sospettato di partecipazione a una congiura contro i Medici, si ritira nel proprio podere a Sant’Andrea in Percussina, in provincia di Firenze, dove tra il Marzo e il Dicembre 1513 completa la stesura dell’opuscolo il cui vero titolo è  “De principatibus”, cioè dei governi principeschi o Principati ma che ha trionfato indiscussamente con il nome “Il Principe”.

Stemmi di famiglia, sopra il portone di ingresso all’Albergaccio.

 

Parte della dedica originaria del “Il Principe”

“Il più delle volte, coloro che desiderano entrare nelle grazie di un Principe son soliti presentarsi con quelle cose che reputano le più care fra le loro e che vedono piacere di più al Principe…. Desiderando dunque io offrirmi alla vostra Magnificenza con qualche testimonianza della mia servitù verso voi, non ho trovato fra i miei beni una cosa che mi è più cara o che tanto io stimi quanto la conoscenza delle azioni dei grandi uomini da me imparata con una lunga riflessione sugli avvenimenti moderni e una continua lezione da parte di quelli antichi: e ora le mando a voi dopo averle con gran diligenza esaminate e meditate e raccolte in un piccolo volume…. Confido assai che, grazia alla sua cortesia, sarà bene accolta, considerato che da me non può esser fatto maggior dono che dar la possibilità di intendere in brevissimo tempo quello che io, in tanti anni e con tanti disagi e pericoli, ho conosciuto e compreso. – (Niccolò Machiavelli: parte della dedica del “Il Principe” a Lorenzo II de’ Medici, duca d’Urbino).

La dedica originaria di cui sopra vi è solo un estratto, era rivolta a Giuliano de’ Medici, terzogenito di Lorenzo il Magnifico, a cui Machiavelli aveva già chiesto aiuto durante la breve prigionia del febbraio 1513.

Dopo la morte di Giuliano, avvenuta nel marzo 1516, la dedica venne indirizzata a Lorenzo duca d’Urbino, figlio di Piero de’ Medici e nipote dello stesso Giuliano.

Ricevuto l’opuscolo in manoscritto Lorenzo II de’ Medici non vi mostrò alcuna attenzione.

Anche tra i molti contemporanei tra i quali circolò l’opera manoscritta, l’interesse fu mediocre: la si giudicò una raccolta di massime banali, da cui non c’era da imparare nulla di nuovo.

Il “Principe” iniziò ad essere apprezzato solo dopo la morte di Machiavelli.

Il manoscritto venne stampato per la prima volta nel 1532, cinque anni dopo la sua morte e nel 1552 l’opera entrava negli elenchi dei libri proibiti dalla Chiesa.

Concludendo, ricordiamo che Machiavelli oltre ad essere famoso per aver scritto “Il Principe”, viene anche celebrato per aver scritto nel 1521 il testo di arte militare: “Dell’Arte della guerra”. Tale testo rimarrà un punto di riferimento, nell’ambito della strategia militare, in Occidente, fino a quando a quando il generale dell’esercito prussiano Carl von Clausewitz (1780 – 1831 d.C), scriverà il trattato “Della Guerra”, pubblicato postumo per la prima volta nel 1832.

Per chi volesse approfondire la lettura del “Il Principe” di Niccolò Machiavelli consigliamo l’acquisto del libro direttamente da AMAZON al prezzo più conveniente in rete.

 

[1]  Dieci di Balia – si trattava di un comitato che veniva mandato da Firenze in aiuto del Vicario di Certaldo quando questi si trovava in difficoltà nel prendere decisioni importanti. Si riunivano nella sala dei dieci di Balia che si trova a palazzo Petrorio di Certaldo in provincia di Firenze.

[2]  Il problema di una milizia fiorentina che permettesse alla repubblica di non essere più in balia di condottieri che affittavano al miglior offerente le loro truppe mercenarie battendosi male e tradendo meglio, si ingegnavano di far durare le guerre e si arrangiavano a saccheggiare anche durante la pace, assillo sempre i pensieri di Machiavelli.


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