Napoleone Bonaparte (1769 -1821) è sicuramente un personaggio molto complesso e la sua figura va vista sotto diverse sfaccettature.
Da una parte le sue conquiste portarono molte riforme che ebbero come effetto una concezione dello stato più moderna. Dall’altra come succede purtroppo in tutte le guerre, gli eserciti napoleonici commisero molte violenze e crudeltà che delusero in maniera grave i popoli conquistati.
Quello di cui ci interessa parlare in questo articolo, non sono le sue capacità militari, ma quelle del capace organizzatore e pianificatore, che entrava nel merito ad ogni singola parte di quell’immenso sistema amministrativo e logistico dell’esercito e dello stato, sapendo bene che sono macchine estremamente complesse da gestire.
In un recente libro che prende a riferimento Napoleone come modello di leadership per imprenditori e manager, dal titolo “Napoleone il comunicatore” si dice: “Napoleone oggi sarebbe un imprenditore di successo, fa pensare a quei leader che sanno motivare e coinvolgere i loro collaboratori rendendoli partecipi delle sfide, che dovranno affrontare assieme. Quello che per Napoleone è il campo di battaglia per l’imprenditore e il manager sono la fabbrica e il mercato, dove solo chi sa cosa vuol dire essere in prima linea può dare gli ordini ed essere ascoltato”.
Quanto segue (con adatt.) è tratto dalla numerosa bibliografia disponibile su Napoleone Bonaparte.
Indice dei contenuti
L’arte del Comando, secondo Napoleone
Nessuno è più schiavo di chi comanda, costretto ad obbedire a un padrone senza cuore; il calcolo degli avvenimenti e la natura delle cose.
Chi comanda resta tragicamente solo di fronte a decisioni che può prendere solo lui.
Dare ordini è il meno, importa assicurarsi che vengano eseguiti.
Non c’è uomo più esitante di me, quando preparo un piano, ingrandisco ogni pericolo come una donna al primo parto.
Nulla è più difficile di una decisione. Ma una volta presa quella decisione, dimentico tutto, tranne quello che può portarmi al successo.
Meditare a lungo, decidere in fretta. Pianificare per tempo, non trascurare alcun aspetto: Nulla è chiaro se ancora qualcosa rimane da fare.
È l’indecisione e l’anarchia al vertice che generano cattivi risultati. L’anarchia nasce quando un governo ha troppi capi. La debolezza del potere supremo è la calamità più grave che possa colpire i popoli. Comunque sia chiaro: meglio un cattivo generale che due buoni. Poiché è necessaria un’assoluta unità del comando militare, politico e finanziario. La guerra, come il governo è questione di tatto.
Queste frasi sono parti di una lettera che venne scritta da Napoleone per respingere la proposta che il Direttorio gli aveva fatto, all’indomani delle prime vittorie in Italia, per dividere in due la direzione della Campagna d’Italia.
Con tale proposta i membri del Direttorio cercavano di mettere un limite alle imprevedibili conseguenze degli inaspettati successi di Napoleone con l’Armata d’Italia.
Le minacce di dimissioni da parte di Napoleone arrivate al Direttorio dopo l’esito positivo di alcune battaglie, osannate dalla popolazione francese, tra cui la presa della città di Lodi e di Milano, furono sufficienti per far cadere il progetto del Direttorio di limitare le ambizioni di Napoleone.
Migliorare sempre, innovare. Non bisogna appoggiarsi su quello che già esiste come se non si potesse fare di meglio.
La politica significa flessibilità, capacità di aderire al mutamento continuo della scena. Oggi ti consiglia una cosa, domani un’altra. Non è un incidente che deve governare la politica, ma la politica gli incidenti.
La politica è costretta alla spregiudicatezza: Ogni male è scusabile solo se assolutamente necessario. Tutto quello che va oltre è un delitto.
Occorre una giustizia giusta e rapida. Punire severamente per non punire tutti i momenti.
I governi mantengono le loro promesse solo se vi sono costretti o se pensano di ricavarne qualche vantaggio.
Ci vuole più carattere nell’amministrare che nel fare la guerra. Gli affari non sono mai chiari come sembrano.
Un buon politico è quello che riesce a calcolare in una infinitesima frazione di tempo i vantaggi che può ricavare dai suoi stessi errori.
La mia grande massima è sempre stata, sia in guerra come in politica: tutto il male, pur giustificato dalle regole, non è scusabile se non assolutamente necessario, e tutto quello cha va oltre ciò deve considerarsi un crimine.
Quando un ministro o qualche altro dignitario aveva commesso un grosso errore, ed era veramente il caso di arrabbiarsi, e io dovevo veramente andare in collera, infuriarmi, avevo sempre cura di far assistere a questa scena un altro.
Mia regola generale era che quando mi decidevo a colpire, dovevo colpire parecchi. La vittima non me ne voleva né di più né di meno, e colui che ne era testimone, del quale valeva la pena di vedere il volto e l’imbarazzo, andava discretamente a mettere in piazza ciò che aveva visto e sentito. Una paura salutare circolava nelle vene del corpo sociale. Le cose andavano meglio; io davo meno punizioni e ottenevo di più senza aver fatto troppo male.
Sappiate che un uomo veramente tale di questo nome non odia mai: la sua ira, il suo cattivo umore non durano più di un minuto; come una scossa elettrica.
A fare le cose a metà: ci si rimette sempre. Bisogna non vedere, ma quando si è voluto vedere, bisogna saper decidere.
La guerra come il governare è questione di sensibilità. La prima cosa è sapere contro chi e con chi si combatte. Inoltre, come nella vita è meglio avere un nemico sicuro che un alleato incerto.
Qui Napoleone si riferisce alla vergognosa azione dei Sassoni inizialmente alleati dei francesi nella battaglia di Lipsia avvenuta tra il 16 e il 19 ottobre 1813.
Durante la battaglia l’intera armata sassone, forte di una batteria di sessanta cannoni, occupata una delle più importanti posizioni del fronte, passò al nemico e rivolse i cannoni contro l’esercito francese. L’episodio rimase talmente impresso nei soldati francesi da coniare il termine “Sassoneggiare” che nel loro gergo stava a significare una truppa che ne assassina un’altra.
La battaglia di Lipsia rappresenta una delle decisive sconfitte subite da Napoleone, ed il preludio alla sua abdicazione avvenuta ad aprile 1814 e successivo suo esilio il 4 maggio 1814 sull’isola d’Elba.
L’arte della guerra non richiede manovre complicate, sono preferibili le più semplici: occorre soprattutto buonsenso. A forze deboli devono corrispondere scopi deboli; quanto più debole è la forza, tanto più breve dev’essere la campagna.
Le migliori battaglie sono quelle in cui si costringe il nemico riluttante ad accettarle. Una tecnica produttiva è confondere il nemico offrendogli una serie di false impressioni.
Quel che conta è essere il più forte nel punto in cui si decide di portare il colpo decisivo, concentrare le forze su un obbiettivo limitato, ma cruciale.
Stabilito l’obiettivo principale, le vie per raggiungerlo possono cambiare in corso d’opera.
Il fattore sorpresa può risultare decisivo.
Un nemico sorpreso è un nemico demoralizzato, perché le cose non danno frutto se non quando sono fatte al momento giusto.
Si deve far sempre credere al nemico che si hanno forze immense. In guerra tutto ciò che può essere utile è lecito. Ma più in generale forza e ragionamento devono trovare un punto di equilibrio.
Un monarca è niente, se non è tutto, perché’ sia tutto, deve essere dappertutto. Io devo andare in corteo: è una cosa che mi annoia; ma bisogna parlare agli occhi: è una cosa che fa bene al popolo.
Il fasto imperiale è in un certo senso obbligatorio: è qualcosa che il popolo esige per sentirsi come confermato nella bontà delle proprie scelte.
Io uscivo dal popolo; dovevo per forza crearmi un aspetto esteriore, compormi una certa gravità. In una parola, stabilire un’etichetta, altrimenti ogni giorno qualcuno mi avrebbe battuto familiarmente una mano sulla spalla.
Noi siamo per natura facilmente inclini alla cortigianeria, molto ossequiosi, ma ben presto si stabilisce se non la si reprime, una certa familiarità che arriverebbe facilmente fino all’insolenza.
Conoscere gli uomini, secondo Napoleone
Per essere alla testa di un esercito bisogna avere grande conoscenza degli uomini.
La conoscenza della mentalità dei collaboratori consente di prevederne le istanze. Per esempio, i generali vorrebbero avere sempre più soldati di quelli che hanno. I generali non vedono che il loro compito, il loro esercito, vorrebbero avere tutte le risorse dello Stato solo per loro.
A un capo tocca invece distribuire quelle risorse secondo ragione e necessità, in vista di una superiore strategia.
Questo non toglie che egli debba dedicare una cura speciale alle loro reali esigenze.
A un capo tocca esercitare quella speciale “arte maieutica” che consiste nel cavare da ognuno risorse e qualità ignote perfino a chi le possiede.
Con “Arte maieutica” Napoleone intende il cosiddetto “Metodo socratico”, ossia quel metodo basato sul dialogo e la discussione con cui Socrate, secondo quanto riportato da Platone, portava il suo interlocutore a giungere ad una verità semplicemente, aiutandolo a partorirla.
Così come la levatrice non crea né impone nulla, ma soltanto aiuta una madre a far nascere il bambino, così Socrate sceglie di non imporre il suo punto di vista o una sua verità alla persona con cui sta parlando.
Attraverso una serie di domande stringenti e scomode si porta l’allievo a riflettere ed a “Tirar fuori / partorire” pensieri personali.
La maieutica, quindi, non è l’arte di insegnare ma l’arte di aiutare. Ciò in quanto, secondo Socrate, la verità non è insegnabile perché è un sapere dell’anima.
Il difficile non è scegliere gli uomini ma dare a quelli che si sono scelti tutto il valore che possono avere.
Ma tutto nasce prima, dalla capacità di vedere in loro, ancora prima di loro, il loro potenziale.
Due sono i modi per far muovere gli uomini: l’interesse e la paura.
Inoltre, si governano più facilmente gli uomini facendo leva sui loro vizi che sulle loro virtù, ma come accade con i bambini, la persuasione risulta più efficace del semplice uso della forza, anche se obbedire, in generale, è temere.
Il capo deve essere una figura paterna forte e giusta, deve avere energia senza fanatismo, princìpi senza demagogia, severità senza crudeltà.
Un uomo che non presta attenzione alle necessità dei soldati non dovrebbe comandarli.
Napoleone e la religione
Ogni cosa proclama l’esistenza di Dio, è vero ma tutte le nostre religioni sono evidentemente figlie degli uomini. Perché ce ne sono tante? Come mai la nostra non era esistita sempre? Perché escludeva le altre? Che cosa n’era degli uomini giusti che ci hanno preceduto? Perché le religioni si smentivano reciprocamente, perché si distruggevano? Perché ciò è successo in tutti i tempi, in tutti i luoghi?
Gli uomini sono sempre uguali, i preti hanno sempre insinuato dappertutto la frode e la menzogna. Tuttavia, appena ho potuto mi sono apprestato a ristabilire la religione. Mi serviva come base e come radice. Per me rappresenta un sostegno alla morale, ai buoni principi, ai buoni costumi. E inoltre l’inquietudine dell’uomo ha bisogno di quel tanto di vago e di meraviglioso che essa gli fornisce. È meglio che lo prenda da lì piuttosto che cercarlo tra indovini e cartomanti.
Non sono affatto ateo, certo; ma non posso credere quel che mi vogliono insegnare contro la mia intelligenza, senza essere falso e ipocrita.
Ma come essere convinto delle assurdità della maggior parte di coloro che ci fanno le prediche.
Sono circondato da preti che mi ripetono continuamente che il loro regno non è di questo mondo, e si impadroniscono di tutto ciò che possono.
Gli uomini non sono né in tutto buoni né in tutto cattivi
La verità però è che è molto difficile conoscere gli uomini e che, per non sbagliare, conviene giudicarli solo dalle loro azioni; e dirò di più; soltanto dalle azioni di un momento e soltanto per quel momento.
Gli uomini hanno le loro virtù e i loro vizi, i loro eroismi e le loro perversità. Gli uomini non sono né in tutto buoni né in tutto cattivi, ma posseggono ed esercitano tutto ciò che c’è di buono e di cattivo quaggiù; ecco il principio fondamentale: in seguito, la natura, l’educazione e le circostanze creano i casi particolari.
E poi si conoscono essi stessi? Sanno spiegare tutte le loro azioni?
La maggior parte di coloro che mi hanno abbandonato non avrebbe mai pensato a tradirmi se io fossi stato sempre fortunato.
Gli ostacoli che mi hanno fatto cadere vennero non tanto dagli uomini, quanto dagli elementi naturali l’incendio di Mosca e in seguito i ghiacci dell’inverno. Quello spaventoso rigore degli elementi che divorò un’intera armata.
Qui Napoleone si riferisce alla campagna di Russia ed in particolar modo all’incendio di Mosca, appiccato dai Russi il 14 settembre 1812, nel momento in cui l’esercito russo e la maggior parte dei cittadini abbandonavano la città di Mosca nelle mani di Napoleone.
Terribile per le sue conseguenze fu poi la ritirata della “Grande Armata” napoleonica da Mosca, iniziata il 19 ottobre del 1812. Essa rappresenta oltre che la fine della campagna militare di Russia anche la fine dei sogni di gloria dell’epopea napoleonica.
A detta dei resoconti da parte francese, l’inverno particolarmente rigido arrivato in anticipo (le prime nevicate iniziarono il 28 ottobre), fu la principale causa che determinò il rallentamento della ritirata da Mosca, che permise ai Russi, abituati al rigido clima invernale, di organizzarsi e distruggere durante la ritirata la gran parte delle truppe francesi e dei contingenti stranieri a fianco di Napoleone.
Napoleone che non era uno stupido, non avrebbe certo voluto intraprendere una ritirata proprio in quel periodo.
Tra le idee di Napoleone vi era quella di rimanere nella città per tutto l’inverno e riprendere le ostilità contro i Russi in primavera.
Purtroppo le catastrofiche dimensioni dell’incendio che devastarono i tre quarti di Mosca resero però assolutamente necessaria, la ritirata da Mosca.
Gli ultimi miei fedeli hanno prestato giuramento al re.
Si tratta del Re Luigi XVIII Borbone, fratello minore del re ghigliottinato durante la Rivoluzione francese Luigi XVI che, esclusi i “cento giorni”, fu Re di Francia dal 1814 al 1824.
E gente che mi deve tutto ma non li biasimo.
Hanno capito che non tornerò, non rappresento più niente.
La stessa ambizione che li ha spinti a seguirmi, li spinge a giurare fedeltà al nuovo padrone.
E poi, sono stato piuttosto abbandonato che tradito, c’è stata più debolezza intorno a me che tradimento.
Analogie di Napoleone con altri importanti autori sulla strategia
In Napoleone si trovano molte analogie con i pensieri sia di Machiavelli, che di von Clausewitz, nonché con il Generale Cinese Sun Tzu (VI – V secolo a.C.).
Come per Machiavelli anche per Napoleone, due sono i veri motori delle azioni umane: “La paura e l’interesse personale”. Inoltre, è poco incline a credere nell’amicizia e sottoscrive in pieno il pensiero di Machiavelli:
- Bisogna vivere con gli amici sapendo che domani potranno diventare dei nemici.
- Consigliati delle cose che tu devi fare, con molti; quello che di poi vuoi fare conferisci con pochi.
Inoltre, parafrasando Machiavelli, dice: Io sono ora leone, ora volpe. Tutto il segreto dell’arte del comando consiste nel sapere quando si deve essere l’uno e quando l’altro.
Le stesse frasi di Napoleone:
- Ogni male è scusabile solo se assolutamente necessario. Tutto quello che va oltre è un delitto.
- Occorre una giustizia giusta e rapida. Punire severamente per non punire tutti i momenti.
Le ritroviamo, quasi simili, nell’opera: Il Principe di Machiavelli. Vedi a tal proposito l’articolo presente su questo blog dal titolo: Il Principe – Machiavelli
Molte poi sono le attinenze tra Napoleone e Clausewitz riguardo la necessità di “Evitare la contradizione” e la necessità di tener conto, in qualunque progetto del “Il caso” quale elemento inaspettato che colpisce tutti e che non è possibile né calcolare né prevedere.
Riguardo la contraddizione, Napoleone dice:
- È necessario combinare fermezza e flessibilità. Non tornare sulle cose fatte. Bisogna evitare non l’errore in sé, ma la contraddizione. e tuttavia essere capaci di variare tattica a seconda delle circostanze.
E sull’esistenza de “Il caso”:
- La cura maniacale che bisogna dedicare ai doverosi aspetti progettuali deve prepararsi a sostenere l’urto dell’imprevisto, che puntualmente si verifica. Perché’ il caso entra ovunque vi sia creazione.
- Il caso resta sempre un mistero per i mediocri, ma diventa una realtà per gli uomini superiori e proprio perché il caso esiste non bisogna contare su di esso, ma prevederne i capricci.
- La guerra non si compone che di casualità. Gli eventi imponderabili non possono essere controllati, ma un generale abile può ridurne l’impatto con un’attenta valutazione e con delle sagge decisioni.
Napoleone, Tucidide e il caso – la Tyche
La questione di tenere sempre in considerazione “Il caso” è stata affrontata, nel corso del tempo anche da altri storici, tra cui il generale Ateniese Tucidide (460 – 399 a.C.), nominandola “Tyche”. Nella mitologia greca era intesa come la personificazione della fortuna, in pratica la divinità che garantiva la floridezza ed il destino di una città.
Tucidide è considerato dagli storici attuali come uno dei principali esponenti della letteratura greca. Egli è ricordato per aver scritto “La guerra del Peloponneso” un accurato resoconto, composto da otto libri, sulla grande guerra tra Atene e Sparta avvenuta tra il 431 e il 404 a.C. a cui egli stesso partecipò direttamente in qualità di comandante militare.
(Nota: Poiché Tucidide é morto nel 399 a.C. per conoscere gli avvenimenti degli ultimi anni della guerra del Peloponneso, quelli fino al 404 a.C., è necessario ricorrere al primo e secondo libro dell’opera le “Elleniche” dello storico greco Senofonte).
L’accurato resoconto fatto da Tucidide sui fatti di tale guerra è considerato come uno dei primi esempi di analisi degli eventi storici basato non più sull’intervento delle divinità sui fatti dell’uomo, come avveniva con gli altri scrittori greci del passato, ma sulla base delle sole decisioni prese dall’uomo.
In tale racconto la Tyche viene considerata come variabile drammaticamente connessa al corso degli eventi terreni che ostacola ed in certi casi può addirittura distruggere i piani dell’agire umano.
Per Tucidide compito di un comandante responsabile è quello di concepire piani razionali, i soli che possono garantire il successo nella misura concessa alla previsione umana, sapendo però che nonostante si saranno tenuti in giusto conto tutti i vari fattori e le possibili variabili, resterà sempre qualcosa che sfuggirà al proprio intelletto.
La Tyche non va intesa come una potenza divina ma semplicemente come una forza impersonale, che interviene sui progetti pensati dall’uomo e che sebbene nella maggior parte dei casi crea ostacoli, in altri può offrire delle occasioni.
Per Tucidide infatti ogni uomo è artefice del proprio destino, determinato da come reagisce ad esso.
Inoltre, sebbene il corso di una guerra sia sempre disseminato di incognite ed imprevisti dove gli eventi sono spesso decisi dalla sorte, non lo sono i risultati che sono invece affidati alla disciplina e all’intelligenza con cui un uomo si pone di fronte a tali eventi.
In linea con tali idee Napoleone affermerà:
Benché’ costretto a seguire princìpi generali, un condottiero di eserciti non deve mai perdere di vista quanto possa metterlo in grado di approfittare di tali casualità. La gente chiamerebbe questa fortuna. Ma il felice esito di una battaglia non è che il risultato di una scintilla di genio. Ed è questione di un’istante. Perché’ sono le circostanze minime a decidere i grandi avvenimenti.
Le capacità militari di Napoleone
La strategia che ha reso famoso Napoleone era quella di operare senza alcun schema rigido.
La sua tattica si adeguava costantemente alle circostanze imposte dall’esterno, come le caratteristiche del terreno e il numero delle truppe. Si basava anche sull’intuizione psicologica della condizione dell’avversario e la comprensione della sua situazione politica complessiva.
Famose sono le estenuanti e lunghe marce basate sulla segretezza e sulla rapidità di spostamento, in più tronconi, di uomini e mezzi, che gli permisero in diverse battaglie di far confluire e concentrare le sue forze sui punti più deboli dello schieramento nemico.
Scopo di tali marce erano quelle di dividere il nemico, impedendogli così di far convergere in un solo punto tutte le sue forze, in modo tale da affrontarlo separatamente con forze equivalenti o superiori.
Informazioni storiche su Napoleone
Napoleone è nato ad Ajaccio in Corsica il 15 agosto del 1769, circa un anno dopo la stipula del trattato di Versailles del 1768, con il quale la repubblica di Genova offriva la Corsica come garanzia per i debiti contratti verso il re di Francia Luigi XV che aveva inviato truppe francesi sull’isola a sostegno di Genova contro i Corsi in rivolta.
La repubblica di Genova non fu poi in grado di onorare il debito e così la Francia ne approfittò per sedare le rivolte corse ed assumere stabilmente il controllo militare dell’intera isola che rimase patrimonio personale del re Luigi XV fino alla Rivoluzione Francese del 1769.
I genitori di Napoleone erano entrambi di origine italiana.
Il papà Carlo Maria Buonaparte (1746 – 1785) e la mamma Letizia Ramolino (1750 – 1836) sono i nomi dei genitori.
Il cognome Buonaparte verrà cambiato da Napoleone in Bonaparte dopo la morte del padre.
A quasi dieci anni Napoleone entra nel collegio militare di Brienne. Si tratta di uno degli istituti che la monarchia francese aveva creato per dare la possibilità anche ad una nobiltà di poche risorse, quale era dei Buonaparte, per accedere ai gradi elevati dell’esercito. Circa una metà degli allievi era mantenuta dalle proprie famiglie, l’altra, tra cui il giovane Buonaparte, a spese dello Stato.
Nel 1784 passa alla scuola militare di Parigi dove starà per un anno, al termine del quale venne nominato sottotenente in seconda di artiglieria.
Allo scoccare della Rivoluzione Francese e cioè il 14 luglio 1789, data in cui venne presa d’assalto la Bastiglia, una vecchia fortezza reale che fungeva da prigione, ne aderì subito agli ideali e comincia a dar prova di grandi abilità militari già a 24 anni, nel 1793, quando in piena Rivoluzione francese ebbe un ruolo decisivo nella riconquista della città di Tolone dopo che i Monarchici si erano impadroniti della città e ne avevano lasciato il controllo agli Inglesi.
A seguito della positiva conclusione dell’assedio, fu premiato con la nomina a generale di brigata.
Senza voler nulla togliere a Napoleone, è necessario precisare che si trattava di un periodo in cui avvenivano rapidi avanzamenti di carriera dovuti alla tempesta rivoluzionaria, soprattutto per chi dimostrava abilità e determinazione.
Inoltre, gli sconvolgimenti creati dalla Rivoluzione francese crearono molte dimissioni e diserzioni tra gli ufficiali, generalmente provenienti dall’aristocrazia che tentando di trovare rifugio al di là dei confini francesi creavano continui vuoti soprattutto nei ranghi più alti dell’esercito.
Il 2 marzo 1796, all’età di 26 anni viene nominato comandante dell’Armata d’Italia. Si trattava di un piccolo esercito, già in guerra da due anni, male armato e con pochi mezzi di sussistenza, bloccato in posizione difensiva sulle montagne liguri contro le truppe austro piemontesi che li incalzavano da nord e le navi inglesi che controllavano la costa a sud.
Soprannominata spregiativamente “L’armata dei cenciosi” proprio per le condizioni materiali e morali in cui versava, l’Armata d’Italia.
Nell’intenzioni del Direttorio (era l’organo posto al vertice nell’ultima fase della Rivoluzione francese – quello che aveva messo fine al governo di Robespierre. Composto da cinque rappresentanti che fungevano da capo del governo, il suo scopo era quello di evitare l’emergere di un potere assolutistico), l’Armata comandata da Napoleone doveva avere solo una funzione difensiva, in particolare quella di distogliere quante più forze possibili dal fronte principale della guerra, quello del Reno in Germania in cui era impegnata la grande Armata francese, inviata contro gli austriaci ritenuti i principali animatori della coalizione antifrancese creatasi all’indomani della Rivoluzione francese.
Napoleone però va oltre le disposizioni avute dal Direttorio.
Nonostante i pochi mezzi a disposizione riesce a mutare la posizione del suo esercito da difensiva ad offensiva.
Le sue vittorie furono rapide e straordinarie ed è a partire dalla Campagna d’Italia nasce il mito di Napoleone Bonaparte così come noi tutti lo conosciamo.
Celebre è diventato il suo discorso, del 27 marzo 1796, alle truppe alla vigilia della campagna d’Italia: “Soldati, voi siete nudi, mal nutriti, il governo vi deve molto e nulla può darvi. La pazienza e il coraggio che dimostrate in mezzo a queste rocce sono ammirevoli, ma non vi procurano alcuna gloria; nessuna luce vi illumina. Io voglio condurvi nelle più fertili pianure del mondo. Ricche di provincie, grandi città saranno alla mercé vostra; vi troverete onore, gloria, ricchezze.”
Napoleone, avrebbe voluto fare lo scrittore
Napoleone nella sua vita scrisse molto, e quando non scriveva egli stesso fece scrivere ad altri. Ad ogni modo non fu mai considerato uno vero scrittore. I suoi scritti passarono quasi inosservati.
Lo storico francese Georges Lefebvre (1874 – 1959), considerato a suo tempo, la massima autorità riguardo gli studi storici sulla Rivoluzione francese, scrisse di Napoleone: “Se non fosse passato per Brienne, sarebbe potuto diventare un letterato.”
(Brienne, o meglio Brienne-le-Château è la piccola cittadina in Francia, sede del collegio militare dove Napoleone vi entrò nel 1779, a neanche 10 anni di età).
Andrea De Chirico (1891-1952) più noto con lo pseudonimo di Alberto Savinio e fratello minore di Giorgio De Chirico, nella sua “Nuova enciclopedia” alla voce “letterati”, dice: “Napoleone diventò quello che tutti sanno, ma non riuscì a diventare quello che nel suo intimo desiderava: un letterato.”
I migliori libri su Napoleone
Dei moltissimi libri che riguardano Napoleone, si consigliano assolutamente:
- Memoriale di Sant’Elena – scritto dal Conte Emmanuel de Las Cases (1766 – 1842). Il libro raccoglie le riflessioni ed i ricordi, dettati, per la maggior parte, dallo stesso Napoleone al Conte Las Cases durante il periodo di prigionia nell’isola a Sant’Elena e che vide la luce nel 1823, due anni dopo la morte di Napoleone. Tale libro ebbe un notevole successo e tradotto in molte lingue apparve in numerose edizioni. Nel Memoriale sono mescolate i grandi eventi passati e le piccole miserie delle giornate trascorse in esilio nell’isola di Sant’Elena.
- Napoleone – di luigi Mascilli Migliorini.
- Napoleone in esilio – scritto dal medico della marina inglese Barry Edward O’Meara, che lo assistette durante il suo esilio a Sant’Elena dall’agosto 1815 al luglio 1818. Si tratta dei tre anni prima della morte di Napoleone alla quale non poté assistere in quanto fu cacciato dall’isola con l’accusa, da parte del governatore inglese Hudson Lowe incaricato di custodire Napoleone, di aver simpatizzato con il prigioniero. O’Meara accusò poi pesantemente il governatore inglese Hudson Lowe di maltrattamenti nei confronti di Napoleone.