Felice Lanfranceschina (classe 1947) è il coautore del libro “La felicità senza internet”.
Il libro suddiviso in diversi racconti racconta della ricerca della felicità e di come gli antichi Greci a partire da filosofi come Aristotele se ne intendevano di questo argomento.
Il brano che segue tratto (con adatt.) dal racconto “Le boccette di Aristotele”, contenuto all’interno de “La felicità senza internet”, ci ricorda come il fine ultimo dell’uomo è la felicità.
Il racconto
Oggi la grande assunzione di farmaci ansiolitici e antidepressivi che assicurano, a dirla con Baudelaire, paradisi artificiali, è una risposta all’assenza di solidarietà, al male di vivere, allo stress e alle crescenti difficoltà socioeconomiche.
Milioni di uomini fanno uso delle pillole della felicità per colmare le angosce e per normalizzare l’umore.
Dall’antichità l’uomo ha cercato rifugio nell’alcool e nelle droghe per tener fuori dalla propria mente i tanti problemi quotidiani.
Si ricorre ai farmaci non per curare le malattie della mente, ma per correggere le variazioni di umore e arginare le condizioni di sconforto. Ma questo piacere a breve termine, se non si rimuovono le cause del disagio, porterà a un dolore a lungo termine; poche ore dopo l’assunzione ritorna l’infelicità e così, in una spirale bisogno-sollievo, si ricorre ad una nuova dose di droga. Il godimento dei piaceri del momento non garantisce il raggiungimento della felicità.
Noi siamo alla continua ricerca di qualcosa, che chiamiamo bene, perché dal nostro punto di vista è il bene.
Pensiamo alla felicità come ad uno stato soggettivo della mente; per esempio, se fuori fa freddo, in una circostanza come questa noi diciamo di sentirci felici se possiamo godere di una bella bevanda calda.
Ma questo non vale per tutti: ognuno di noi ha un’idea di felicità, che è un presentimento, uno stato dell’animo che pensiamo di aver vissuto o che stiamo vivendo.
Il problema è che non c’è accordo sulla definizione di bene, perché il bene degli uni tante volte non è il bene degli altri.
Desideriamo denaro, in vista di altri beni. È un mezzo per ottenere altri beni materiali.
C’è un paradosso detto di Easterlin, secondo cui se la ricchezza di un paese aumenta, lo stato di benessere degli individui non cresce di molto. Lo sviluppo economico di una società non ha alcuna influenza sul benessere dei suoi abitanti.
Desideriamo spesso quello che altri desiderano e contrariamente ai bisogni i desideri sono infiniti.
Vogliamo piacere o merci, perché pensiamo che queste cose possano renderci felici, cioè vediamo questi beni come garanzia di felicità. Ma la felicità è un’altra cosa, è qualcosa fine a sé stessa, è un atto autosufficiente, cioè auspicabile in sé e non per conseguire qualcos’altro.
(tratto da La felicità senza Internet, F. Lafranceschina / D. Servidone, Neos edizioni, 2016)
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