La frizione in Guerra di von Clausewitz e la gestione dei rischi
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La frizione in guerra di Clausewitz applicata alla gestione dei rischi

Analisi degli elementi che finiscono sempre per ostacolare la realizzazione di un progetto

In questo articolo continuiamo ad occuparci di Carl von Clausewitz (1780 – 1831) e di quanto da lui lasciatoci nel suo libro: “Della Guerra” (titolo originale “Vom Kriege”).

Se non l’hai ancora letto ti consiglio prima di iniziare la lettura di questo articolo di andarti a leggere il primo articolo scritto su Clausewitz dal titolo: Carl von Clausewitz e l’arte della guerra.

Tra negoziare e gestire e fare la guerra vi sono molti elementi in comune che potranno tornarci utili nel momento in cui ci troveremo a gestire sia le nostre situazioni negoziali sia i nostri conflitti interpersonali.

Quanto segue è tratto (con adatt.) dall’opera: “Della Guerra” di Carl Von Clausewitz. A mio avviso la parte più interessante del libro di von Clausewitz, riguarda il concetto di frizione che descrive l’insieme di elementi che finiscono sempre per ostacolare la realizzazione di un progetto.

Ti do il consiglio. Sostituisci durante la lettura, la parola “Guerra” con le parole “Negoziare e gestire”, rimarrai sorpreso di quanto scritto da Clausewitz possa ancora essere attinente ai giorni nostri.

 

Le difficoltà della guerra

Fintanto che non si fa conoscenza diretta della guerra, non si capisce in che cosa consistano le difficoltà di cui sempre si parla e che cosa sia ciò con cui hanno a che fare il genio e le forze straordinarie dello spirito che sono richieste al capo militare.

Tutto sembra così semplice, le conoscenze richieste sembrano così modeste, ma quando si è vista la guerra, tutto diventa comprensibile. Eppure, è estremamente difficile descrivere ciò che fa differenza e definire questo fattore invisibile e attivo dovunque.

Tutto in guerra è molto semplice ma la cosa più semplice è difficile. Queste difficoltà si accumulano e producono una frizione che non può essere immaginata da chi non ha visto la guerra.

Si pensi a un viaggiatore che verso sera voglia lasciarsi alle spalle ancora due stazioni di posta prima di fermarsi: ha ancora davanti quattro o cinque ore di cammino con cavalli di posta su una strada rotabile – una cosa da nulla. Ma arriva alla penultima stazione e non trova cavalli o ne trova di cattivi, per di più si trova in una zona montuosa, con strade malandate, mentre diventa notta buia. È felice di aver raggiunto dopo molte fatiche la stazione e di trovarsi un alloggio miserabile.

Analogamente in guerra per l’influenza di innumerevoli circostanze, che non possono mai essere previste sulla carta, tutto va storto e così si rimane molto indietro rispetto all’obbiettivo.

Una potente volontà di ferro vince questa frizione, supera le difficoltà ma insieme spezza anche la macchina.

La frizione è l’unico concetto che corrisponde in termini abbastanza generali a ciò che distingue la guerra reale da quella che sta sulla carta. La macchina militare, l’esercito e tutto ciò che la compone è in fondo molto semplice e quindi sembra facile da manovrare. Ma si tenga presente che nessuna delle sue parti è fatta di un sol pezzo bensì tutto è composto da individui ciascuno dei quali ha la sua frizione da ogni lato.

Nel concetto di frizione, ovvero tutto ciò che costituisce un ostacolo al conseguimento di un determinato scopo indipendentemente dall’opposizione efficace del nemico, Clausewitz mette l’accento sull’importanza di tenere in considerazione ad ogni livello le esigenze dei singoli individui, perché: “L’esercito è una macchina, ma i suoi ingranaggi sono uomini”.

 

La realtà è sempre diversa dalla teoria

Ora immaginiamo, come dice Clausewitz che un comandante reputi necessario per i suoi piani far eseguire una certa manovra ad uno dei suoi battaglioni:

In teoria tutto funziona molto bene. Il capo del battaglione è responsabile per l’esecuzione del comando ricevuto e dal momento che il battaglione è tenuto insieme in un sol pezzo dalla disciplina e il capo deve essere un uomo di zelo riconosciuto, allora l’albero ruoterà attorno al suo perno con poca frizione.

Ma nella realtà non è così e tutto ciò che questa immagine ha di esagerato e falso lo si vede in guerra sul posto.

Il battaglione è pur sempre fatto di un certo numero di individui il più insignificante dei quali è in grado di provocare un blocco o comunque una disfunzione.

I pericoli che la guerra porta con sé, gli sforzi fisici che essa impone, aumentano gli inconvenienti tanto da doverli considerare come le loro cause più importanti.

Questa tremenda frizione che non si lascia concentrare su pochi punti come accade nella meccanica, entra in contatto dovunque con il caso e produce fenomeni che non si possono calcolare, appunto perché’ sono per lo più casuali.

Il tempo atmosferico ne è un esempio.

La nebbia impedisce che il nemico venga scoperto in tempo, che un messaggio raggiunga il comandante, che un cannone spari al momento giusto.

La pioggia impedisce che un battaglione arrivi a destinazione, che un altro giunga al momento giusto perché’ ha dovuto marciare magari otto ore anziché’ tre, che la cavalleria si concentri in modo efficace perché’ si è impantanata nel terreno, ecc.

Su questo genere di difficoltà si potrebbero scrivere libri interi.

 

Agire in guerra significa muoversi in un ambiente che fa resistenza

Come in acqua non si è in grado di fare il movimento più semplice e naturale come il semplice camminare con facilità e precisione, così in guerra normalmente non si può mantenere con successo neppure una prestazione media.

Per questo il buon teorico si comporta come un maestro di nuoto che fa provare fuori dall’acqua movimenti che sono necessari in acqua.

Essi appaiono grotteschi ed esagerati a chi non ha in mente l’acqua.

Ma i teorici che non si sono mai tuffati o che non sanno astrarre nulla di generale dalle loro esperienze sono incapaci e perfino sciocchi, perché’ insegnano soltanto quello che ognuno già sa come il camminare.

La conoscenza di questa frizione è un momento centrale della spesso celebrata esperienza di guerra che viene richiesta a un buon comandante.

Naturalmente il migliore non è colui che ne è più preoccupato e impressionato (così si crea quella classe di generali timorosi che è frequente anche tra coloro che hanno esperienza).

Il comandante invece deve conoscere la frizione per vincerla, dove è possibile, e non aspettarsi quella precisione nell’azione che non è possibile proprio per la presenza della frizione.

 

L’abitudine alla guerra

Ma non c’è alcun olio lubrificante per questo attrito? Ce n’è uno solo: l’abitudine alla guerra.

L’abitudine rafforza il fisico nelle grandi fatiche, e lo spirito nei grandi pericoli, il giudizio di fronte alla prima impressione.

Organizzare le esercitazioni in tempo di pace in modo che vi sia inclusa una parte delle frizioni, che vi siano messi alla prova il giudizio, l’avvedutezza e la risolutezza del singolo comandante vale assai più di quanto non credono quelli che non conoscono l’argomento per esperienza.

È infinitamente importante che il soldato, in alto o in basso, in qualunque grado si trovi, non veda per la prima volta la in guerra quei fenomeni che lo sorprendono e lo sconcertano; se li ha visti anche una sola volta in precedenza, vi è già un po’ abituato.

Questo vale per gli sforzi fisici. devono essere praticati vi si abitui non tanto la natura quanto l’intelligenza.

In guerra il soldato impreparato è portato a considerare le fatiche inusuali come conseguenza di errori, di difetti e di incertezze del comando e quindi a deprimersi doppiamente. Questo non accadrà se vi sarà preparato dalle esercitazioni del tempo di pace.

Un altro mezzo meno generalizzabile ma sempre molto importante per creare l’abitudine alla guerra e l’acquisizione di ufficiali esperti di guerra di altri eserciti.

Raramente in Europa c’è pace dappertutto e in altre parti del mondo non cessa mai la guerra. Uno Stato che si trova a lungo in condizione di pace dovrebbe cercare sempre di prendere ufficiali dalle zone di guerra, naturalmente soltanto quelli che hanno servito bene, oppure mandarne di propri perché’ conoscano direttamente la guerra.

Per quanto piccolo sia il numero di tali ufficiali rispetto alle dimensioni dell’esercito, la loro influenza è sensibile. Le loro esperienze, l’orientamento del loro spirito, la formazione del loro carattere influenzano i loro sottoposti e camerati e se non possono essere posti al vertice della dirigenza sono da considerarsi esperti da poter consultare in molti singoli casi.

 

La frizione in Guerra di von Clausewitz e la gestione dei rischi

 

L’abitudine alla guerra, quale lubrificante alle difficoltà che si accumulano e producono una frizione è un concetto, molto importante applicabile sia in ambito familiare che lavorativo.

In ambito familiare potrebbe essere la situazione di un padre che coinvolge il figlio in tutte le attività di tipo economico e gestionale in cui lui stesso è coinvolto, come andare ad esempio in banca per discutere di un prestito, un mutuo, oppure semplicemente portarlo con sé alle riunioni di condominio.

In ambito lavorativo può essere rappresentato dalla partecipazione a:

  • Corsi di formazione
  • Incontri di gruppi di lavoro tra diversi enti per fare sinergia e condividere esperienze.
  • Partecipare a progetti di sviluppo e di ricerca.
  • Promuovere politiche di job rotation al fine di permettere alla maggior parte dei propri dipendenti di lavorare in contesti diversi così da arricchire la loro professionalità.

In aggiunta, sempre in ambito lavorativo, può inoltre essere la situazione in cui per svolgere determinate attività si chiede il supporto di un consulente o si assume personale da altre aziende.

La frizione in Guerra di von Clausewitz applicata alla gestione dei rischi

Di tutti i grandi libri scritti sulla guerra, che affrontano il problema della “Frizione” oltre al Della Guerra di Clausewitz, vi sono anche:

Ti consiglio anche la lettura dell’articolo presente su questo blog dal titolo: Come valutare i collaboratori.

 


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