È passato un anno e otto mesi da quando Anna si nascose il 6 luglio del 1942 con la sua famiglia nell’alloggio segreto per sfuggire alle persecuzioni razziali da parte dei nazisti tedeschi.
Nel racconto che segue tratto (con adatt. e riduzioni) dalla pagina del 7 marzo 1944 del Diario di Anna Frank, Anna pensa a come a causa della guerra e delle persecuzioni le sia stata completamente stravolta la vita.
Dal Diario di Anna Frank: Martedì 7 marzo 1944
Cara Kitty,
se penso alla mia vita dal 1942 in poi mi sembra tutto così irreale. Una vita privilegiata che ha vissuto una Anna Frank molto diversa da quella che ora qui è diventata giudiziosa.
Era proprio una vita privilegiata. Cinque ammiratori in ogni angolo, una ventina di amiche, la favorita di quasi tutti gli insegnanti, viziata da mamma e papà, tanti dolci, abbastanza denaro, che cosa desiderare di più?
Tutti quegli apprezzamenti mi avranno dato un po’ alla testa? È una fortuna che proprio sul più bello, nel bello della festa, all’improvviso mi sia trovata ad affrontare la realtà e mi ci è voluto più di un anno per adattarmi a non essere più ammirata da nessuno.
Com’ero vista a scuola? Come quella che organizzava scherzi e birichinate, sempre in prima fila e mai scontrosa o piagnucolosa. Non era normale che tutti volessero accompagnarmi in bici o mi coprissero di attenzioni?
Quella Anne Frank ora mi appare come una ragazza simpatica, divertente ma superficiale che con me non ha niente a che fare. Che cosa diceva Peter di me? “Quando ti vedevo eri sempre circondata da due o più ragazzi e da una schiera di amiche, ridevi sempre ed eri al centro dell’attenzione!” Aveva ragione. Che cos’è rimasto adesso, di quella Anne Frank?
Certo, non ho disimparato a ridere e a rispondere e so ancora criticare le persone come allora, se non meglio, so fare la civetta e anche essere divertente, se voglio.
Qui sta il problema, una volta mi piacerebbe ritornare per una sera, per un paio di giorni, per una settimana, spensierata e allegra. Alla fine, ne uscirei stanchissima e forse mi butterei al collo di chiunque parlasse di cose sensate.
Non voglio delle persone innamorate di me, ma degli amici, non chi apprezza un sorrisetto frivolo, ma chi apprezza il mio modo di fare e il mio carattere. So benissimo che la cerchia attorno a me si farebbe più stretta.
In ogni caso, che importanza ha? Non mi servono tanti ammiratori, so da me cosa è bene e cosa è male!
L’Anna del 1942 era anche diversa, anche lei si sentiva sola, non era mica sempre felice; ma perché ero occupata dalla mattina alla sera non ci pensavo e mi divertivo il più possibile, tentavo, più o meno consapevolmente, di cacciare il vuoto con i divertimenti.
Ora guardo la mia esistenza con occhio più critico, perché la fase della scolaretta gioiosa e spensierata è conclusa. E non tornerà indietro, né lo desidero, non ne ho nostalgia, è una cosa superata. Osservo la mia vita fino al Capodanno del 1944 come sotto una potente lente d’ingrandimento.
A casa una vita serena, fatta di divertimenti e di felicità. Poi nel 1942 qui, un improvviso cambiamento, la disgrazia, i contrasti, non potevo farmene una ragione, ero disorientata e non avevo altro modo di reagire se non comportandomi con modi bruschi.
Poi i primi sei mesi del 1943. Lo sconforto senza nome e le crisi di pianto; il senso di solitudine, la lenta consapevolezza che gli errori e i difetti fossero molti di più di quanto avessi mai immaginato.
Rimanevo da sola col difficile compito di comportarmi in modo da non dover più sentire rimproveri, e passavo quasi tutte le sere piangendo.
La seconda metà dell’anno le cose sono leggermente migliorate, sono diventata una ragazza, ero considerata più come un’adulta. Mi sono messa a riflettere, a scrivere racconti, e sono giunta alla conclusione che gli altri non avevano più niente a che fare con me, non avevano alcun diritto di spingermi di qua e di là, volevo cambiare, ma a modo mio. Ho imparato a fidarmi solo di me stessa.
Dopo l’inizio dell’anno, è arrivato il secondo grande mutamento, il sogno… con cui ho capito cosa provassi per… un ragazzo; non un’amica, ma un amico. E ho scoperto la felicità dentro di me e la mia corazza fatta di superficialità e allegria. Però a volte mi chiudevo in me stessa. Ancora adesso vivo solo per Peter, perché la maggior parte delle cose che mi succederanno da questo momento in poi dipenderanno da lui!
Quando la sera sono nel mio letto, termino le mie preghiere dicendo: “Ti ringrazio per tutte le cose buone, care e belle”, e dentro di me mi sento felice, penso a ciò che c’è di “buono” nella nostra vita di reclusi, alla mia salute e al resto, a ciò che è “caro” cioè Peter, a qualcosa di piccolo e fragile che nessuno dei due trova il coraggio di nominare e al “bello” del mondo, il mondo e la natura, la bellezza e tutte, tutte le cose belle.
Allora non penso alla miseria, ma alle belle cose che restano ancora oggi. E qui, soprattutto, la differenza tra me e la mamma. Il suo suggerimento contro la depressione è: “Pensa a tutta la miseria del mondo, e sii contenta che non sia toccata a te”.
Io invece dico: “Esci nei campi, nella natura, al sole. Esci e cerca di ritrovare la fortuna dentro di te; pensa a tutte le belle cose che crescono dentro e attorno a te e sii felice”.
Secondo me quello che dice la mamma non va bene, perché che cosa dovrebbe fare uno a cui sia capitata tutta la miseria? È perduto.
Al contrario trovo che dopo ogni conflitto resta qualcosa di bello, a ben guardare si vede sempre più felicità e si torna a essere equilibrati.
E chi è felice renderà felici gli altri, chi ha coraggio e fiducia non dovrà mai sprofondare nella miseria!
Tua Anna Frank
TRATTO (CON ADATT. E RIDUZIONI) DA ANNE FRANK, DIARIO, CRESCERE EDIZIONI, 2021
Per sapere di più sulla situazione in cui si trova Anna, leggi anche su questo blog:
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