In questi ultimi anni si è scritto molto sulla similitudine tra guerra e strategie commerciali, pertanto, non è una novità che Carl von Clausewitz (1780 – 1831) autore dell’opera “Della Guerra” (titolo originale “Vom Kriege”), sia stato preso come punto di riferimento da molti esperti sia di negoziazione sia di gestione dei rischi e dei conflitti interpersonali.
Tra negoziare e gestire e fare la guerra vi sono infatti molti elementi in comune e per capire quali siano, andremo a vedere, proprio quanto lasciatoci da Clausewitz nel suo scritto “Della Guerra”.
Si tratta di un’opera considerata, oggi, da molti analisti e manager nell’ambito del business, come uno dei più importanti testi per comprendere le basi della strategia soprattutto nelle situazioni competitive e di incertezza.
La guerra, all’interno di tale opera, viene vista non tanto da un punto di vista bellico, ma più che altro, da un punto di vista sociopolitico. Non a caso “la guerra” viene da lui definita come: “la prosecuzione della politica con altri mezzi”.
La lettura del testo “Della Guerra” non è certamente di facile lettura. Diversi esperti di politica l’hanno definita un’opera “più citata che letta”, forse in quanto non ebbe il tempo di completarla.
Clausewitz morì inaspettatamente a soli 51 anni, stroncato dal colera. La sua opera fu pubblicata dalla vedova – Marie Gräfin von Brühl – un anno dopo la morte di Clausewitz, raccogliendo insieme i manoscritti del marito.
Clausewitz ha iniziato, giovanissimo, all’età di dodici anni, la sua carriera militare nell’esercito Prussiano arrivando fino al grado di Maggior Generale. La guerra l’ha conosciuta combattendo per molti anni direttamente sui campi di battaglia d’Europa contro gli eserciti di Napoleone Bonaparte.
Quanto segue (con adatt.) è solo una piccolissima parte di quanto riportato nel suo libro “Della Guerra”.
Sono sicuro che dalla lettura di questo articolo potrai ricevere molti spunti utili sia per la gestione delle tue negoziazioni, sia per la gestione dei tuoi conflitti interpersonali.
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La filosofia della guerra
Dove lo scopo è il fare e il creare, lì domina l’arte. La scienza domina invece dove l’obiettivo è la ricerca e il sapere. Alla luce di tutto questo è evidente come sia più adeguato parlare di arte della guerra anziché di scienza della guerra.
Meglio che con qualsiasi arte la guerra potrebbe essere paragonata al commercio, che pure è un conflitto di interessi e di attività umane.
Ma molto più vicino alla guerra sta la politica che da parte sua può essere vista di nuovo come una specie di commercio di dimensioni più grandi.
Spiriti umanitari potrebbero facilmente pensare che ci sia un modo ingegnoso per disarmare o abbattere il nemico senza troppo spargimento di sangue e che questa è la vera tendenza dell’arte della guerra. Per quanto bello e buono ciò possa apparire, è un errore che va distrutto: infatti in cose così pericolose e la guerra lo è in modo unico, gli errori peggiori sono proprio quelli che nascono dalla benevolenza.
Così va vista la realtà, ed è sforzo vano, anzi, controproducente, che per avversione all’elemento bruto non si presti attenzione alla sua natura.
Nella filosofia della guerra non può essere mai introdotto un principio di moderazione senza incorrere in un’assurdità. Pertanto: Sin tanto che non ho abbattuto il nemico, devo temere che sia lui ad abbattermi.
Le qualità e il carattere dell’uomo di guerra
La guerra è il luogo dell’incertezza: tre quarti delle cose su cui è costruito l’agire in guerra è immerso nella nebbia di un’incertezza più o meno pesante. È qui che viene richiesta una sottile penetrante intelligenza per percepire la verità con il tatto del giudizio.
Un’intelligenza ordinaria può una volta casualmente cogliere questa verità, un’altra volta un coraggio straordinario può compensare l’errore ma più delle volte il risultato medio porterà sempre alla luce un difetto di intelligenza.
La guerra è il luogo del caso. In nessuna altra attività umana si deve dare tanto spazio a questo fattore estraneo, perché nessun’altra attività è in contatto costante con il caso in tutti i suoi aspetti. Esso moltiplica l’incertezza di tutte le circostanze e disturba il corso degli avvenimenti.
L’insicurezza di tutte le informazioni e delle situazioni ipotizzate, nonché la costante intrusione del caso fanno sì che chi è in guerra trovi le cose sempre diverse da come se le aspettava ed è inevitabile che tutto influisca sulla pianificazione della guerra o quantomeno sulle idee che entrano a farne parte.
Per poter superare con successo questo scontro continuo con l’inatteso, sono indispensabili due qualità: Intelligenza e coraggio.
Un’intelligenza che anche in questa enorme oscurità è dotata di sprazzi di luce interiore che la conducono verso la verità e quindi il coraggio di seguire questa debole luce.
Nella luce crepuscolare di ogni accadimento è così difficile avere una visione chiara e profonda delle cose che diventa comprensibile e scusabile cambiare opinione.
Si agisce sempre seguendo intuizioni e presentimenti di verità. Per questo in guerra come in nessun’altra situazione è così grande la differenza di opinione e non si interrompe mai il flusso delle impressioni contrarie alle proprie convinzioni originarie.
Neppure la più grande flemma dell’intelligenza può difendersi perché le impressioni sono troppo forti e vive e sempre influenti sui sentimenti.
Qui spesso non serve altro che un principio regolatore che, posto fuori pensiero, lo domina: è il principio dell’attenersi in tutti i casi dubbi all’opinione iniziale e non allontanarsi da essa sinché non vi si è costretti da un nuovo chiaro convincimento.
Assegnando nei casi dubbi la precedenza alle nostre convinzioni precedenti ed attenendosi ad esse, resistendo alle pressioni delle opinioni e dei fenomeni del presente. L’azione acquista quella stabilità e coerenza che chiamiamo “carattere”.
Ad un capo è richiesto sintesi di giudizio
La molteplicità e i confini indeterminati di tutte le situazioni portano a prendere in considerazione una grande quantità di fattori. In questo senso molto giustamente Napoleone Bonaparte ha detto che molte decisioni che il comandante in capo deve prendere potrebbero rappresentare un calcolo matematico degno di Newton e di un Eulero.
Ciò quindi che è richiesto ad un capo è la capacità di sintesi e giudizio, culminante in uno straordinario sguardo che coglie ed elimina mille rappresentazioni chiaroscure che solo a fatica un’intelligenza normale metterebbe in luce esaurendosi in questa operazione.
L’uomo riceve l’impulso più forte all’agire sempre soltanto attraverso le emozioni e ha il suo punto d’appoggio più forte in quella combinazione di intelligenza, saggezza, intuito ed energia che sono riposte nella risolutezza, nella tenacia e nella forza di carattere.
Per concludere, se ci chiediamo quale tipo di intelligenza si avvicina si avvicina di più ad un abile comandante, l’analisi e l’esperienza ci diranno che sono le teste che indagano più di quelle che non lo fanno, le teste aperte più di quelle ostinate, le teste fredde più che non quelle calde. E’ ad esse che noi vorremmo affidare in guerra la salvezza dei nostri fratelli e dei nostri figli.
Le informazioni in guerra – von Clausewitz
Con informazione designiamo la conoscenza complessiva che abbiamo del nemico e del suo territorio. Essa è il fondamento di ogni nostra idea ed iniziativa.
Una grande parte delle informazioni che si ottengono in guerra è contradittoria, una parte ancora più grande è falsa e la parte di gran lunga maggiore è incerta.
Questa difficoltà è rilevante già nei primi schemi di azione preparati a tavolino che è ancora fuori dall’orizzonte vero e proprio della guerra.
Ma è enormemente maggiore là dove nel tumulto della guerra una notizia si sovrappone all’altra.
In poche parole: la maggior parte delle notizie sono false e la paura umana rafforza la menzogna e la falsità.
Di regola si tende a credere più alla notizia cattiva che a quella buona.
Si tende a esagerare ciò che è negativo e i pericoli che in esso sono segnalati, anche se si dissolvono come le onde del mare: ma proprio come quest’ultime i pericoli ricompaiono di nuovo ogni volta senza apparente motivo.
Il ruolo del capo non è facile. Fermo nella fiducia della propria superiore conoscenza interiore il capo deve stare come una roccia contro cui si infrangono i flutti.
Mai un’impresa di qualche importanza è stata condotta senza che il comandante non avesse dovuto vincere nei primi momenti sempre nuovi dubbi.
Solo l’inizio delle operazioni è pianificabile – von Moltke
Helmuth Karl Bernhard von Moltke (1800 – 1891), che fu collaboratore di von Clausewitz nonché capo di stato maggiore dell’esercito prussiano per trent’anni ha sviluppato molti dei concetti espressi da Clausewitz.
Dal carattere taciturno e riservato, sebbene poliglotta, di von Moltke si diceva ironicamente che sapesse stare zitto in sette lingue. Egli è ricordato in ambito militare soprattutto per le profonde riorganizzazioni apportate nell’ambito del supporto logistico inerenti alle modalità di spostamento e rifornimento dell’esercito.
Per von Moltke, sebbene il compito principale dei comandanti fosse quello di prevedere tutte le possibili evenienze, la strategia andava concepita come un sistema di opzioni successive, ciò in quanto solo l’inizio delle operazioni è pianificabile.
Il suo pensiero si può riassumere con le seguenti affermazioni:
Nessun piano militare operativo mantiene la sua validità, con certezza, al di là del primo contatto con le forze principali del nemico.
Solo un profano può pensare che nel corso di una campagna si assista all’esecuzione di un piano originale, precostituito e dettagliato, perseguito con coerenza fino alla fine.
Senza dubbio, il comandante avrà sempre presenti e perseguirà costantemente i propri obiettivi finali, senza farsi influenzare dalle alterne vicende degli avvenimenti, ma il percorso mediante il quale spera di conseguirli non può mai essere stabilito con certezza in anticipo.
Nel corso della campagna egli deve prendere una serie di decisioni sulla base di situazioni imprevedibili. Così, le operazioni in guerra che via via si dispiegano non appartengono a un disegno premeditato ma, al contrario, sono azioni determinate da singoli episodi bellici.
Tutto dipende dalla capacità di farsi strada nell’incertezza di situazioni confuse per valutare i fatti, chiarire gli eventi sconosciuti, decidere con prontezza e poi portare avanti le proprie risoluzioni con forza e costanza.
A causa dell’irresistibile forza delle circostanze fallisce anche l’uomo migliore, e da questo fallimento gli viene spesso l’attributo di mediocre. Ma la fortuna a lungo andare arride per lo più alle persone capaci.
Di tutti i grandi libri che affrontano i problemi fondamentali della guerra oltre al “Della Guerra” di von Clausewitz, vi sono anche:
- L’arte della guerra, scritta probabilmente tra il VI e il V secolo a.C. dal generale e filosofo cinese Sun Tzu.
- La guerra del Peloponneso, scritta nel 400 a.C. circa dallo storico ateniese Tucidite.
- Dell’Arte della guerra, scritto nel 1521 d.C. da Niccolò Machiavelli. – Per tua info Machiavelli è famoso soprattutto per aver scritto l’opera: Il Principe. Si tratta di un manuale su come si debba fare per mantenere e gestire il potere.
Riguardo von Clausewitz, leggi anche i seguenti articoli presenti su questo blog:
- La frizione in guerra di Clausewitz applicata alla gestione dei rischi
- Come valutare i collaboratori