Un soldato, stanco di combattere e della guerra, disse agli Dei che se gli avessero fatto vincere un’ultima battaglia avrebbe gettato nel fuoco tutte le sue armi e avrebbe iniziato una nuova vita più tranquilla.
La fortuna fu dalla sua parte: sconfisse un gran numero di nemici e il suo esercito ottenne una vittoria schiacciante.
La sera, accanto al falò, il soldato buttò tra le fiamme la spada, lo scudo, l’arco con tutte le frecce e quante altre armi possedeva.
Rimase solo la tromba, con cui tante volte aveva suonato la carica.
La tromba, spaventata a morte, gli disse: “Non buttarmi nel fuoco! Io non ho mai fatto male a nessuno. Non lancio dardi né trapasso le armature. Ho solo chiamato a raccolta i soldati e suonato l’inizio di ogni battaglia, non merito di morire”.
Il soldato pensò a quelle parole, poi la buttò tra le fiamme dicendo: “Tu sei molto peggiore di tutte le altre armi. Non puoi fare del male a nessuno, ma il tuo suono rende gli altri malvagi e, a pensarci bene, uccidi più di una spada e di una freccia”.
Morale della favola
Con questa favola Flavio Aviano, scrittore romano del IV secolo d.C., vuole insegnarci che molte volte le parole uccidono più della spada e grazie ad esse, una persona meschina può spingere gli altri a compiere le azioni più atroci.
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