L’amicizia è un aspetto molto importante della nostra vita ed è stato oggetto di trattazione fin dai tempi degli antichi greci e romani.
Molti filosofi del passato ci hanno lasciato il loro pensiero sull’amicizia. Tra questi anche Marco Tullio Cicerone (106 – 43 a.C.) che ha scritto nel 44. a.C. un trattato sull’amicizia (dal titolo: Laelius de amicitia).
Nel suo trattato, Cicerone afferma che l’amicizia è il dono più grande degli Dei all’uomo e che non vi è niente di più dolce dell’avere una persona amica con la quale parlare come a sé stessi.
Cicerone fissa anche delle regole relative all’amicizia. Ecco le più importanti:
- Non vi può essere amicizia se non tra le persone buone, oneste e virtuose;
- Base della stabilità di un’amicizia è la fiducia;
- Non si devono chiedere a un amico favori indegni o immorali, e nemmeno dobbiamo farli a un amico, anche se supplicati;
- Non si deve pretendere che il nostro affetto nei confronti di un amico sia corrisposto in egual misura e intensità. Non si deve delimitare l’amicizia a una parità di doveri;
- Bisogna sempre dire la verità, a un amico, mai dirgli cose false per compiacerlo o lusingarlo, perché ciò può condurlo alla rovina.
- Si deve prestare molta attenzione nello scegliere e nell’amare un amico: si deve, infatti, voler bene a un amico, dopo averlo giudicato, per non correre il rischio di giudicarlo male, dopo avergli voluto bene.
Quello che segue (con adatt.) sono, a mio avviso, le parti più belle e significative del trattato sull’amicizia scritto da Cicerone:
Indice dei contenuti
Il presupposto dell’amicizia è la virtù
Fra tutti i valori umani, l’amicizia va messa al primo posto, perché non c’è niente di così naturale e adatto tanto alla buona quanto alla cattiva sorte.
È però da tener presente che la vera amicizia può esistere solo tra persone virtuose e cioè tra coloro che si comportano e vivono dimostrando: lealtà, senso di giustizia, generosità, senza essere avidi o nutrire passioni sfrenate.
Eccetto la saggezza, l’amicizia è il dono più grande degli Dei all’uomo.
C’è comunque chi all’amicizia preferisce la ricchezza, chi la salute, chi il potere, chi ancora la carriera, molti anche il piacere.
Ma se i piaceri sono degni delle bestie, gli altri beni sono instabili e incerti, perché dipendono non tanto dalla nostra volontà quanto dai capricci della sorte.
Chi invece ripone il bene più grande nella virtù fa benissimo, perché è proprio la virtù – cosa meravigliosa – a generare e a preservare l’amicizia e senza virtù, l’amicizia è assolutamente impossibile.
I vantaggi dell’amicizia
L’amicizia ha tanti vantaggi che mi è difficile elencarli tutti.
- Per prima cosa, come può essere vivibile una vita che non trovi sollievo nel reciproco affetto di un amico?
- Cosa c’è di più bello nell’avere qualcuno a cui poter dire tutto, senza timori, come se parlassi con te stesso?
- Quale grande vantaggio ci sarebbe nella sorte prospera, se non avessi qualcuno che se ne rallegri tanto quanto te?
- Sarebbe veramente difficile sopportare le avversità senza un amico che le sopportasse persino con maggior pena di te.
Tutti gli altri beni a cui l’uomo aspira, se presi a uno a uno, presentano un solo lato vantaggioso:
- la ricchezza per spenderla,
- la potenza per essere riveriti,
- le cariche per ricevere lodi,
- i piaceri per goderne,
- la salute per non provar dolore e per disporre delle forze fisiche.
L’amicizia, invece, comporta moltissimi vantaggi. Dovunque tu vada è a tua disposizione, non è esclusa da nessun luogo, non è mai inopportuna, non è mai un peso.
Insomma, non sono l’acqua e il fuoco, come dicono, a esser utili in tante situazioni, ma l’amicizia.
E non mi sto riferendo all’amicizia volgare e mediocre, capace tuttavia di procurare diletto e utilità, ma all’amicizia vera e perfetta. Essa rende più splendida la buona sorte, e allieva il peso delle avversità, condividendole e partecipandovi.
E seppure l’amicizia comporti moltissimi e grandissimi vantaggi, ne presenta uno di sicuro superiore a tutti gli altri: ci fa splendere il domani di speranza, e non permette che l’animo si deprima e si abbatta. Chi guarda un vero amico, infatti è come se guardasse un’immagine di se stesso.
La vera amicizia deriva più dalla natura che dal bisogno
Quando molto spesso rifletto sull’amicizia, mi sembra che occorra soffermarsi soprattutto su un punto: ricerchiamo forse l’amicizia spinti dalla debolezza o dal bisogno perché, seguendo la logica del dare e dell’avere, speriamo di ottenere dagli altri quel che da soli non riusciamo a procurarci per poi restituirlo a nostra volta?
Oppure, fermo restando che questa sia una caratteristica dell’amicizia, la causa è un’altra, più nobile, più bella, più naturale?
È l’amore, infatti, da cui l’amicizia trae il nome, che dà il primo impulso al legame affettivo. È vero che si ottengono spesso vantaggi anche da chi riceve l’onore di un’amicizia simulata e gli ossequi dell’opportunismo. Ad ogni modo, nella vera amicizia, al contrario, nulla è finto, nulla è simulato, tutto è vero e spontaneo.
Di conseguenza, la vera amicizia deriva più dalla natura che dal bisogno, da un’inclinazione dell’animo mista a un sentimento di amore, più che dal calcolo di quanto essa potrà ritornarci utile.
Che le cose stiano così lo si può vedere anche in alcuni animali: l’amore che, fino a un certo periodo, riversano sui loro piccoli e l’amore che da essi ricevono rivela chiaramente il loro sentimento.
Nell’uomo è molto più evidente. Primo, nell’affetto tra genitori e figli, che solo un crimine abominevole può distruggere. Secondo, in un analogo sentimento di amore che ci nasce dentro quando incontriamo una persona simile a noi per abitudini e carattere, perché crediamo di vedere in lei, per così dire, una luce di onestà e di virtù.
Così l’amicizia procurerà i maggiori vantaggi e, derivando dalla natura e non dalla debolezza, avrà un’origine più nobile e più vera. Infatti, se fosse la convenienza il cemento delle amicizie, cambiati interessi, il legame si scioglierebbe. Ma, dal momento che la natura è immutabile, ne consegue che le amicizie vere sono eterne.
Le discordie tra amici
Ad ogni modo, nulla è più difficile che mantenere un’amicizia sino alla morte. Spesso si verificano o divergenze di interessi o disaccordi; l’uomo, poi, non di rado cambia carattere sia nei momenti difficili sia per il peso degli anni.
Le amicizie possono essere infrante dalle rivalità per un interesse che i due amici non possono ottenere nello stesso tempo.
La piaga peggiore dell’amicizia è:
- nella maggior parte degli uomini, la sete di denaro;
- nei migliori, la lotta per il potere e per la gloria.
Gravi discordie e disaccordi, e per lo più legittimi, nascono anche quando si chiede all’amico un favore immorale come, ad esempio, di fare da ruffiani o da complice in una violenza.
Chi si rifiuta, anche se lo fa per onestà, viene accusato da chi non vuole compiacere di tradire il codice dell’amicizia.
Invece chi osa chiedere all’amico qualsiasi favore, con la sua stessa richiesta ammette di esser pronto a tutto per l’altro.
Di solito con le sue recriminazioni non solo distruggono antiche amicizie, ma suscitano anche odi eterni. Ecco le tante, per così dire, fatalità che incombono sull’amicizia. In questi casi per evitarle tutte non basta la saggezza, occorre anche la fortuna.
La prima legge sull’amicizia
Quindi stabiliamo la regola che in amicizia non dobbiamo chiedere cose indecenti, né farle se ce le chiedono.
La prima legge sull’amicizia prevede quindi che:
- Bisogna rivolgere agli amici solo richieste oneste;
- Compiere per gli amici solo azioni oneste senza aspettare che ci vengano richieste;
- Mostrarsi sempre disponibili e mai esitanti,
- Avere il coraggio di dare liberamente il proprio parere.
Valga soprattutto nell’amicizia l’autorità degli amici che forniscono buoni consigli. Tale autorità serva ad ammonire non solo con sincerità ma, se la situazione lo richiede, anche con asprezza e, in tal caso, le si obbedisca.
Considerazioni se sia il caso o meno di evitare le amicizie
Alcuni poi, che a quanto sento dire in Grecia sono considerati saggi, hanno idee, a mio avviso, sorprendenti.
Una parte afferma che dobbiamo evitare troppe amicizie, in modo che non ci sia una sola persona costretta a preoccuparsi per molti. A ciascuno bastano e avanzano i propri problemi e farsi carico di quelli altrui è una bella noia.
La cosa migliore, secondo loro, è allentare più che si può le briglie dell’amicizia, tirandole o lasciandole andare a proprio piacere. Essenziale per vivere bene è la tranquillità, di cui l’animo non può godere se, per così dire, fosse uno solo a sopportare il travaglio per tutti.
Altri, invece, a quanto si dice, sostengono una tesi ancora più disumana: le amicizie andrebbero ricercate in vista di protezione e appoggi, non per un sentimento di affetto e stima e quindi che quanto meno uno è solido e potente, tanto più si cercano amicizie; ecco perché sono le donnicciole a chiedere la protezione dell’amicizia più degli uomini, i poveri più dei ricchi e gli sventurati più di chi è considerato felice.
Ma che bella saggezza! È come se privasse l’universo del sole, chi toglie l’amicizia dalla vita.
Niente di più bello, niente di più gradito dell’amicizia abbiamo ricevuto dagli dèi immortali.
Che cos’è mai, infatti questa tranquillità? Un’immagine allettante certo, ma che di fatto va rifiutata sotto molti aspetti.
Non è coerente non intraprendere nessun’opera o azione onorevole o lasciarla cadere dopo averla intrapresa per non avere preoccupazioni. Perché se evitiamo i fastidi dobbiamo evitare la virtù, che per forza di cose disprezza e odia con qualche fastidio i suoi contrari, come fa la bontà con la cattiveria, la temperanza con le passioni, il coraggio con la viltà.
Allora, che cos’è mai questa tranquillità, in apparenza seducente, ma in realtà da ripudiare per molti aspetti?
No, non ha senso rifiutarsi di intraprendere una cosa o un’azione onesta, oppure abbandonarla dopo averla intrapresa, per evitare noie. Ma se fuggiamo le preoccupazioni, dobbiamo fuggire la virtù che, all’inevitabile prezzo di qualche apprensione, ci porta a disprezzare e odiare il suo contrario, come fa la bontà con la cattiveria, la temperanza con le passioni, il coraggio con l’ignavia.
Ecco perché si vedono soprattutto i giusti soffrire per le ingiustizie, i coraggiosi per la viltà, i moderati per gli eccessi. E proprio di un animo ben educato, quindi, rallegrarsi per il bene e affliggersi per il male.
Perciò, se anche l’animo del saggio è sensibile al dolore – e lo è di sicuro, se non vogliamo ammettere che gli è stata strappata l’umanità -, perché dovremmo eliminare dalla vita l’amicizia, per evitare di provar qualche fastidio a causa di essa?
Se si elimina il sentimento, che differenza c’è non dico tra l’uomo e una bestia, ma tra l’uomo e un pezzo di legno o un sasso o qualcosa del genere?
No! Non bisogna dare ascolto a queste persone che pretendono che la virtù sia qualcosa di duro, per così dire, di ferro, quando invece spesso, e in particolare nell’amicizia, è così tenera ed elastica da aprirsi, se posso esprimermi così, alla fortuna dell’amico e da chiudersi di fronte alle sue avversità.
Perciò quell’angoscia, che spesso si deve patire per un amico, non è così forte da eliminare l’amicizia dalla vita, non più di quanto siamo disposti a rinunciare alle virtù perché comportano preoccupazioni e fastidi.
Niente è più piacevole della corrispondenza di attenzioni e cortesie
Poiché quello che induce a stringere un rapporto di amicizia, come ho detto prima, è il balenare di qualche segno di virtù, che induce un animo affine ad accostarsi e legarsi ad essa, quando ciò accade, allora sorge inevitabile l’amore.
Siamo appagati da molte cose vane: onori, gloria, casa, vestiti, forma fisica, ma non apprezziamo affatto l’animo virtuoso, capace di amare e, per così dire, di ricambiare l’amore. C’è follia più grande? Niente, infatti, è più piacevole del reciproco affetto e della corrispondenza di attenzioni e cortesie.
Anzi, a mio parere, chi basa l’amicizia sull’interesse distrugge tra i vincoli dell’amicizia quello che è più vicino all’amore. In realtà, non ci è caro tanto ricavare un guadagno dall’amico, quanto il suo stesso amore, e quel che ci proviene dall’amico risulta piacevole solo se accompagnato dall’affetto. E credere che le amicizie si coltivino per indigenza è tanto lontano dal vero che si rivelano più generose e magnanime proprio le persone che, forti del loro prestigio, delle loro ricchezze e soprattutto della loro virtù, nella quale trovano la maggiore risorsa, hanno meno bisogno degli altri.
Inoltre, sono portato a credere che non è neppure necessario che agli amici non manchi mai assolutamente nulla. Quando avrei potuto dimostrare tutto il mio affetto se il mio amico Scipione non avesse avuto bisogno mai del mio consiglio, mai della mia collaborazione in pace o in guerra? Non è stata pertanto l’amicizia a seguire il vantaggio, ma è il vantaggio che si è accostato all’amicizia.
Dunque, non bisognerà dar retta a chi sguazza nei piaceri se talvolta discute sull’amicizia senza averla conosciuta né in teoria né in pratica.
Chi, infatti, in nome degli dèi e degli uomini, vorrebbe sommergersi di un mare di ricchezze e vivere nella più grande abbondanza a patto di non amare nessuno e di non essere amato da nessuno?
Non c’è dubbio: questa è la vita dei tiranni, vita che ignora completamente lealtà, affetto e fiducia in un legame durevole. Tutto desta sospetti e angosce, non vi è posto per l’amicizia.
Chi, allora, potrebbe amare una persona di cui ha paura o a cui pensa di ispirarne? Eppure, i tiranni sono riveriti, ma da chi finge, e solo per un tempo limitato. Se mai cadono, come succede generalmente, allora viene a galla quanto fossero poveri di amici. È quello che, secondo la tradizione, ammise Tarquinio il superbo (l’ultimo re di Roma) il giorno dell’esilio: riconobbe gli amici fedeli e quelli infedeli solo nel momento in cui non poteva più ripagare né gli uni né gli altri.
Mi stupisco, comunque, che abbia potuto avere qualche amico, con la sua superbia e crudeltà! Ma se il suo carattere non poté procurargli veri amici, allo stesso modo le ricchezze impediscono a molti potenti di avere amicizie fedeli.
La fortuna, infatti, non solo è cieca, ma rende cechi anche le persone cui ha concesso i propri favori. Ecco perché, di solito, si lasciano prendere dall’arroganza e dalla presunzione, e niente risulta più insopportabile di uno stupido fortunato. Si può poi osservare che uomini, il cui carattere era affabile, cambiano una volta ottenuto il comando, il potere o il successo: disprezzano le vecchie amicizie e assecondano in tutto le nuove.
Ma la vera follia, quando dispongono di ricchezze, possibilità e prestigio, è che si procurano tutto ciò che il denaro può offrire – cavalli, servi, vestiti di lusso, vasi preziosi -, ma non gli amici, il migliore, per così dire il più bello e prezioso “corredo” della vita.
Quando acquistano tutti quei beni, non sanno né per chi li comprano, né per chi si danno tanto da fare. Sono oggetti, infatti, che appartengono al più forte, mentre il possesso dell’amicizia è in ogni uomo stabile e sicuro. Sicché, anche se conservassero quei beni, che sono come doni della fortuna, una vita di solitudine, priva di amicizie non potrebbe dar la felicità.
I limiti dell’amicizia
Bisogna ora fissare i limiti dell’amicizia e, per così dire, la linea di confine dell’affetto.
A questo proposito vedo che sull’argomento circolano tre teorie, e nessuna mi sembra accettabile:
- La prima teoria sostiene che dobbiamo nutrire per gli amici gli stessi sentimenti che proviamo per noi;
- La seconda che il nostro affetto per gli amici deve corrispondere in tutto e per tutto al loro affetto per noi:
- La terza che quanto uno stima sé stesso, tanto deve essere stimato dagli amici.
Non sono affatto d’accordo con nessuna delle tre.
Non è vera la prima, secondo cui si deve esser disposti verso l’amico come si è disposti verso sé stessi. Quante cose che non faremmo mai per noi, le facciamo invece per gli amici! Pregare uomini indegni, supplicare, scagliarsi contro un altro con troppa durezza e con troppa veemenza attaccarlo, tutti comportamenti che, quando si tratta di noi, risultano poco dignitosi, ma quando si tratta degli amici, diventano il massimo della dignità. In numerose circostanze, poi, gli uomini virtuosi sacrificano molti dei propri privilegi o tollerano di sacrificarli perché siano gli amici a goderne più di loro stessi.
La seconda teoria considera l’amicizia come la reciprocità dei doveri e dei sentimenti. Ma significa ridurla a conti troppo gretti e meschini, per vedere se il bilancio è in pareggio! La vera amicizia, secondo me, è più ricca, più generosa e non bada con pignoleria a non rendere più di quanto abbia ricevuto. Perché non bisogna temere di perdere qualcosa, di lasciar cadere a terra una goccia o di portare nel rapporto qualcosa in più del dovuto.
Eppure, la peggiore di tutte è la terza definizione: quanto uno stima sé stesso, tanto deve essere stimato dagli amici. Spesso alcuni si sentono troppo depressi oppure nutrono un’esigua speranza di migliorare il proprio destino. Non è dunque da amico essere verso l’altro come egli è verso sé stesso, ma è da amico fare di tutto per dare una scrollata a chi si sente giù spingendolo a nutrire speranze e pensieri migliori.
Saper scegliere gli amici
Purtroppo, le persone prestano poca attenzione all’amicizia.
Tutti sanno dirti quante capre o pecore possiedono, ma quanti amici no. Nel procurarsi un gregge usano ogni riguardo, ma nello scegliere gli amici sono distratti, né hanno, per così dire, segni particolari che li aiutino a giudicare coloro che sono idonei all’amicizia.
Dobbiamo scegliere amici dotati di fermezza, stabilità e coerenza – e di tali caratteristiche vi è grande penuria! E giudicare una persona senza metterla alla prova è davvero difficile, ma la prova è fattibile solo se si è instaurato il legame. Così, l’amicizia precorre il giudizio e finisce con eliminare la possibilità di fare una verifica.
È indice di saggezza, quindi, saper frenare l’impeto dell’affetto come si frena un cocchio, per poter usare dell’amicizia solo dopo aver sperimentato, in qualche modo, il carattere degli amici, così come si provano i cavalli.
Spesso alcuni rivelano tutta la loro leggerezza di fronte a pochi soldi; altri, invece, irremovibili davanti a una piccola somma, si tradiscono di fronte a una grande. Ma se pure troveremo chi si vergogna di preferire il denaro all’amicizia, dove troveremo chi non antepone all’amicizia onori, cariche pubbliche e militari, potere, prestigio, e chi, avendo la possibilità di scegliere tra tutti questi beni e le prerogative dell’amicizia, non preferisce di gran lunga i primi?
La natura umana è troppo debole per disprezzare il potere; e se si raggiunge il potere a prezzo dell’amicizia, si pensa che ciò passerà sotto silenzio, perché non senza una valida ragione l’amicizia è stata trascurata.
Per questo è difficilissimo trovare vere amicizie soprattutto in chi vede nella carriera politica una ragione di vita. Dove lo trovi qualcuno che preferisca alla propria affermazione quella dell’amico?
E, per passare ad altro, come risulta gravoso e difficile, ai più, condividere gli insuccessi altrui! Non è facile trovare persone disposte ad abbassarsi a tanto: L’amico fidato si scopre nella sorte incerta
Tuttavia, due sono le situazioni che dimostrano la leggerezza e l’incostanza dei più:
- se disprezzano gli amici nel momento del successo;
- oppure se li abbandonano nelle difficoltà.
Chi, in entrambi i casi, si mostrerà amico serio, coerente e stabile, dobbiamo considerarlo di una stirpe umana rarissima, quasi divina!
La lealtà nell’amicizia
Base della stabilità e della coerenza, che cerchiamo nell’amicizia, è la lealtà. Nulla è stabile senza lealtà.
Conviene inoltre scegliere una persona genuina, socievole e di sensibilità affine, cioè che reagisca alle situazioni come noi.
Tutto ciò contribuisce alla fedeltà. Non può essere leale un carattere complesso e tortuoso, e neppure chi non reagisce come noi e ha una sensibilità diversa può essere leale e stabile.
Bisogna poi aggiungere che l’amico non deve provar gusto nel calunniare o nel prestar fede a calunnie mosse da altri. Tutto ciò contribuisce alla coerenza.
Ed ecco avverarsi la premessa del mio discorso: l’amicizia può esistere solo tra i virtuosi.
Solo l’uomo virtuoso, che si può chiamare anche saggio, sa osservare due norme dell’amicizia.
- Prima: evitare tutto ciò che è finto o simulato; persino l’odio dichiarato è più nobile che nascondere il proprio pensiero dietro un’espressione del volto;
- Seconda: non solo respingere le accuse lanciate da altri, ma neppure nutrire sospetti, supponendo che l’amico si sia comportato male.
Conviene aggiungere, infine, la dolcezza di parola e di modi, condimento per nulla trascurabile dell’amicizia. Il cattivo umore e la continua serietà comportano sì un tono di autorevolezza, ma l’amicizia deve essere più rilassata, più libera, più dolce, più incline a ogni forma di amabilità e di cortesia.
Amici nuovi e vecchi – Chi preferire?
A questo punto sorge una questione di una certa difficoltà: a volte, dobbiamo forse preferire i nuovi amici, purché degni della nostra amicizia, ai vecchi, così come di solito preferiamo ai cavalli di una certa età quelli giovani?
Dubbio indegno di un uomo! Nell’amicizia non deve esistere sazietà come nelle altre cose! Quanto più un’amicizia è antica, tanto più deve piacere, come quei vini che reggono bene l’invecchiamento.
Ed è vero il proverbio che dice: Bisogna mangiare insieme molti moggi di sale perché si possa dire assolto il dovere di amico.
Beninteso, le nuove amicizie, se lasciano sperare nella nascita di un frutto, come giovani piante che non ingannano l’attesa, non sono certo da rifiutare, ma l’anzianità deve rimanere al posto che le spetta, perché è grandissima la forza dell’anzianità e dell’intima conoscenza.
Anzi, ritornando all’esempio del cavallo appena menzionato, se niente lo impedisce, non c’è nessuno che preferisca al cavallo cui è abituato uno mai montato e nuovo per lui. In realtà, è un’abitudine valida non solo per gli esseri animati, ma anche per quelli inanimati, tant’è vero che ci piacciono dei luoghi, anche se montuosi e selvaggi, se vi abbiamo dimorato per un certo periodo di tempo.
Mai far pesare agli amici la propria posizione sociale
Presupposto fondamentale dell’amicizia è mettersi al livello di chi è inferiore.
Coloro che sono riusciti a distinguersi per virtù, intelligenza e fortuna, rendano partecipi gli amici della propria superiorità, la condividano con chi hanno più vicino.
Se, per esempio, i loro genitori sono di umile condizione, se i loro parenti non sono molto dotati di spirito e di sostanze, ne accrescano le risorse e li aiutino a ottenere onori e dignità.
È quel che accade in teatro, dove personaggi vissuti a lungo in stato di servitù, perché se ne ignorava la stirpe e l’origine, una volta riconosciuti come figli di dèi o re, mantengono intatto il loro affetto nei riguardi dei pastori che per molti anni hanno considerato loro padri.
Cogliamo infatti il maggior frutto dell’intelligenza, della virtù, di ogni tipo di superiorità quando ne diamo una parte a chi ci è più vicino.
Come, dunque, nei legami di amicizia o nelle relazioni vincolanti i superiori devono mettersi al livello degli inferiori, così gli inferiori non devono affliggersi nel vedersi superati per intelligenza, fortuna e dignità.
Invece, la maggior parte di questi è sempre pronta a lamentarsi o a rinfacciare qualcosa, soprattutto se pensa di poter ricordare un favore reso che ne attesti la premura, l’amicizia e anche un certo disturbo. Che gente odiosa! È sempre pronta a rinfacciare quel che ha fatto, mentre dei favori dovrebbe ricordarsi chi li ha ricevuti e non parlarne chi li ha resi.
Perciò, nei rapporti di amicizia come coloro che sono superiori devono abbassarsi, così, in un certo senso, devono elevare gli inferiori. Ci sono persone, infatti, che tolgono il piacere dell’amicizia perché si credono disprezzate; capita generalmente solo a chi non si considera degno della stima altrui. È doveroso, quindi, liberarli di tale pregiudizio non solo a parole, ma anche con i fatti.
Devi inoltre dare all’amico, in primo luogo, quanto sei in grado di dare, in secondo luogo quanto la persona che ami e vuoi aiutare è in grado di sostenere.
Infatti, per quanto tu stia in alto e potessi condurre gli amici ai vertici delle cariche pubbliche, devi sempre vedere se sia capace di sostenerla.
Come giudicare le amicizie
In generale, si devono giudicare le amicizie quando il carattere si è formato e l’età è matura. Se, da giovani, siamo stati appassionati di caccia o del gioco della palla, non dobbiamo considerare necessariamente amici i compagni che allora prediligevamo perché accomunati dalla stessa passione. In questo modo, nutrici e pedagoghi si sentiranno in dovere di esigere il massimo dell’affetto per diritto di anzianità!
Noi non dobbiamo dimenticarli, ma amarli in un altro modo. Diversamente, le amicizie non possono durare in maniera stabile.
Caratteri diversi comportano interessi diversi ed è questa diversità a separare gli amici; se i virtuosi non possono essere amici dei malvagi e i malvagi dei virtuosi è solo perché la loro differenza di carattere e di interessi è la più grande che ci sia.
Gli amici non vanno ostacolati
A ragione si può prescrivere un’altra regola nell’amicizia: un affetto incontrollato non deve ostacolare l’amico, come molto spesso accade, nel conseguimento di importanti successi.
Per ritornare ai drammi, l’eroe greco Neottolemo (secondo un oracolo, i Greci non avrebbero mai potuto conquistare la città di Troia senza il suo aiuto. Nonostante le insistenze del nonno che non lo voleva far partire, sarà Ulisse a convincerlo affinché partecipasse alla spedizione) non avrebbe potuto conquistare Troia se avesse voluto dar retta a suo nonno Licomede, presso il quale era stato allevato, che piangendo a dirotto cercava di impedirne la partenza.
Spesso, poi, capitano gravi eventi che impongono un distacco: chi vi si oppone, perché incapace di sopportare la mancanza dell’amico è debole, senza carattere, e, proprio per questo, ingiusto nei confronti dell’amico.
Insomma, in ogni circostanza devi valutare attentamente cosa chiedi all’amico e cosa sei disposto a concedergli.
La rottura dell’amicizia
Incombe sulle amicizie una calamità, e non sempre è possibile evitarla: la rottura. Il mio discorso si abbassa ormai dall’amicizia tra saggi alle amicizie comuni.
I difetti degli amici, infatti, molte volte si manifestano all’improvviso, ora a danno degli stessi amici, ora degli estranei, ma in modo che il disonore ricada sempre sugli amici.
Bisogna frequentare tali amicizie sempre meno, sino ad arrivare allo scioglimento definitivo.
Dobbiamo scucirle, non strapparle, a meno che non divampi un motivo di risentimento davvero insopportabile; in tal caso non sarebbe giusto, né dignitoso, né possibile non troncare una volta per tutte il rapporto.
Ma se il carattere o gli interessi cambieranno, come avviene di solito, o se il diverso orientamento politico diventerà motivo di contrasto (non mi sto riferendo, come ho appena detto, alle amicizie dei saggi, ma alle comuni), dovremo evitare di far credere che abbiamo fatto morire un’amicizia per concepire un odio. Niente è più indegno che aprire le ostilità contro la persona con cui hai vissuto in intimità.
Per prima cosa, dunque, bisogna cercare di impedire tra amici le rotture, ma, se si verificano, bisogna comportarsi in modo che la fiamma dell’amicizia sembri essersi consumata da sola, e non che sia stata soffocata.
Si deve poi evitare che le amicizie si convertano in odi feroci, da cui nascono liti, maldicenze e insulti. Se però sono tollerabili, bisogna sopportarle e tributare questo onore all’amicizia di un tempo, in modo che la colpa ricada su chi commette il torto, non su chi lo subisce.
In generale, il solo mezzo per prevenire e impedire questi guai e inconvenienti è non iniziare ad amare, né troppo in fretta né persone indegne.
Degno di amicizia è chi ha dentro di sé la ragione di essere amato. Specie rara! Davvero, tutto ciò che è bello è raro; niente è più difficile che trovare una cosa perfetta, nel suo genere, sotto ogni aspetto.
Ma la maggior parte della gente concepisce come buono, solo ciò che comporta un profitto e scelgono gli amici come le bestie, preferendo chi offre loro la speranza del massimo guadagno.
Si privano così dell’amicizia più bella e più naturale, quella che si ricerca in sé e per sé, e non imparano dalla diretta esperienza quale sia l’essenza e l’importanza dell’amicizia.
Senza virtù non c’è amicizia
Solo tra virtuosi può rafforzarsi la stabilità dell’amicizia, di cui sto trattando già da un po’. Quando cioè gli uomini, legati dall’affetto, sapranno in primo luogo dominare le passioni, di cui gli altri sono schiavi, e poi ameranno l’equità e la giustizia.
L’uno sopporterà di tutto per l’altro, e non pretenderà mai dall’altro nulla che non sia onesto e corretto; e si tratteranno non solo con devozione e affetto reciproci, ma anche con rispetto, perché chi priva l’amicizia del rispetto, la priva del pregio più grande.
Quindi è un errore fatale quello di ritenere che dagli amici si possa ottenere il permesso per ogni genere di licenza e di colpa: l’amicizia ci è stata data dalla natura perché favorisse le virtù, non perché fosse complice dei vizi: perché la virtù del singolo, non potendo raggiungere le cose più elevate, le raggiungesse unendosi e alleandosi con quella di un altro. E se tra gli uomini c’è, c’è stata o ci sarà una simile unione, bisogna considerarla la migliore e la più felice alleanza sulla via del supremo bene naturale.
È un’unione, dico io, in cui risiedono tutti i beni che gli uomini considerano desiderabili: l’onore, la gloria, la serenità e la gioia interiore. Cose che rendono felice la vita quando ci sono e senza le quali essa non può esserlo.
E siccome questo è il bene supremo, se vogliamo raggiungerlo dobbiamo consacrarci alla virtù, senza la quale non possiamo ottenere né l’amicizia né alcun bene desiderabile.
Ma le persone che credono di avere degli amici pur calpestando la virtù, si accorgono alla fine di aver sbagliato, quando una grave circostanza li costringe a metterli alla prova.
Per questa ragione, e non bisogna stancarsi di ripeterlo, prima devi giudicare, poi voler bene, e non il contrario. Scontiamo la nostra negligenza in molte circostanze, ma soprattutto quando scegliamo e coltiviamo le amicizie. Questo perché prendiamo le decisioni quando ormai è troppo tardi e, benché ce lo vieti un antico proverbio, tentiamo di cambiar l’ineluttabile.
Ci facciamo strettamente vincolare agli altri o da una lunga relazione o anche dagli obblighi; poi, all’improvviso, sorge un ostacolo e sfasciamo l’amicizia, nel bel mezzo della navigazione.
La vita non è bella senza veri amici
Di tutti i beni della vita umana l’amicizia è l’unico sulla cui utilità gli uomini siano unanimemente d’accordo.
È vero che molti disprezzano la virtù e la considerano una forma di esibizionismo e di ostentazione.
Molti, che si accontentano di poco e amano un tenore di vita semplice, spregiano invece le ricchezze.
E così le altre cose, che a qualcuno sembrano magnifiche, per moltissimi non valgono niente. Ma sull’amicizia tutti, dal primo all’ultimo, sono d’accordo, da chi fa della politica una ragione di vita a chi si diletta di scienza e filosofia, da chi, si occupa dei propri affari a chi, infine, si dà anima e corpo ai piaceri. Tutti sanno che la vita non è vita senza amicizia.
L’amicizia, infatti, si insinua, in un modo o nell’altro, nella vita di tutti e non permette a nessuna esistenza di trascorrere senza di lei.
Anzi, se un uomo fosse di indole tanto aspra e selvaggia da rifuggire da ogni contatto umano e da detestarlo non potrebbe tuttavia fare a meno di cercare qualcuno cui vomitare addosso il veleno della sua acredine. Giudicheremmo meglio un tale comportamento se ci capitasse una cosa del genere: un dio ci strappa dal gruppo umano e ci isola in qualche luogo; qui, fornendoci senza risparmio ogni cosa necessaria a un naturale bisogno, ci priva completamente della possibilità di vedere un altro essere umano. Chi sarebbe tanto duro da sopportare una vita simile? A chi la solitudine non toglierebbe il gusto di ogni piacere?
Allora è vero ciò che ho sentito ricordare ai nostri vecchi, che, a loro volta, riportavano il racconto di altri vecchi: «Se un uomo salisse in cielo e contemplasse la natura dell’universo e la bellezza degli astri, la meraviglia di tale visione non gli darebbe la gioia più intensa, come dovrebbe, ma quasi un dispiacere, perché non avrebbe nessuno cui raccontarla.»
È così, la natura non ama affatto la solitudine e cerca sempre di appoggiarsi, per così dire, a un sostegno, che è tanto più dolce quanto più caro è l’amico.
Ma per quanto la natura stessa indichi con tanti segni cosa vuole, cosa ricerca ed esige, noi diventiamo sordi, chissà perché, e non diamo ascolto ai suoi avvertimenti.
I rapporti di amicizia sono vari e complessi e si presentano molti motivi di sospetto e di attrito; saperli ora evitare, ora attenuare, ora sopportare è indice di saggezza.
Un motivo di risentimento in particolare non va inasprito, per poter conservare nell’amicizia vantaggi e lealtà: bisogna avvertire e rimproverare spesso gli amici e, con spirito amichevole, bisogna accettare da loro gli stessi rimproveri se sono ispirati dall’affetto.
L’ossequio genera amici, la verità genera l’odio
La verità è dannosa, dato che è fonte di odio, che è il veleno dell’amicizia. Ma è molto più dannoso l’ossequio, perché chiudendo un occhio sulle colpe lascia che l’amico sia portato alla rovina.
In tutta questa faccenda bisogna usare raziocinio e accortezza, in primo luogo perché il monito non suoni aspro, in secondo luogo perché il rimprovero non risulti offensivo; si accompagni poi all’ossequio la gentilezza, senza però far ricorso all’adulazione, complice dei vizi, indegna non solo di un amico, ma anche di un uomo libero.
Se poi uno ha le orecchie chiuse alla verità e non può ascoltare dall’amico il vero, è il caso di disperare della sua salvezza. È molto sensato, come molti altri, un detto di Catone: «Talvolta fanno del bene più i nemici irriducibili degli amici che sembrano compiacenti; i primi dicono spesso il vero, i secondi mai.»
E la cosa assurda è che a chi riceve un rimprovero non prova il dispiacere che dovrebbe provare, ma si dispiace per quello che invece non dovrebbe toccarlo: infatti non si addolora per aver sbagliato, ma si irrita di venir ripreso.
Invece dovrebbe provare il contrario: dolore per la colpa e gioia per la correzione.
La piaga più grande dell’amicizia è l’adulazione, la lusinga e il servilismo
Se, dunque, è indice di vera amicizia ammonire ed essere ammoniti – e ammonire con sincerità, ma senza durezza, e accettare i rimproveri con pazienza, ma senza rancore -, allora dobbiamo ammettere che la piaga più grande dell’amicizia è l’adulazione, la lusinga e il servilismo.
Dagli tutti i nomi che vuoi: sarà sempre un vizio da condannare, un vizio di chi è falso e bugiardo, di chi è sempre pronto a dire qualsiasi cosa per compiacere, ma la verità mai.
La simulazione è nociva in tutti i casi, perché impedisce il giudizio del vero e lo adultera, è con l’amicizia è assolutamente incompatibile. Cancella infatti la verità senza la quale non ha più senso la parola amicizia.
Ma, facendo attenzione, è possibile distinguere e riconoscere l’amico adulatore dal vero amico, così come si riconosce ciò che è contraffatto e falso da ciò che è autentico e genuino.
L’amicizia si misura con il metro della sincerità. Se nell’amicizia non vedessi, come si dice, che l’amico ti apre il cuore e tu gli mostri il tuo, non avresti nulla di cui fidarti, nulla di cui esser certo, neppure il dare e ricevere affetto, perché non sapresti quanto sia sincero.
Del resto, l’adulazione, per quanto pericolosa, non può far danni se non a chi l’accetta e se ne compiace.
Ecco perché è l’uomo pieno di sé e tutto preso dalla propria persona a spalancare le orecchie agli adulatori.
Le persone che badano solo all’apparenza di virtù che non al reale possesso della stessa, sono soprattutto loro a compiacersi dell’adulazione.
Quando ci si rivolge a queste persone con parole dette ad arte per rispondere alle loro aspettative, vedono in quel vano discorso un’attestazione dei loro meriti. Perciò non esiste amicizia tra due uomini quando uno non vuole sentire il vero e l’altro è pronto a mentire.
Perciò, anche se le menzogne dettate dall’ossequio funzionano su chi le attira a sé e le provoca, bisogna ugualmente avvertire le persone serie e coerenti a non diventare vittime di un’adulazione ben congegnata.
Chiunque, tranne il perfetto imbecille, riconosce un adulatore eccessivo.
Ma è da quello astuto e che lo fa di nascosto che dobbiamo guardarci perché non si insinui in noi. Non è molto facile riconoscerlo. Spesso, infatti, adula anche contraddicendo; per compiacere finge di litigare, ma alla fine si arrende, si dà per vinto regalando all’altro l’illusione, con l’inganno, di esser stato più intelligente di lui, utilizzando frasi del genere: “Come mi hai raggirato e menato ben bene per il naso, oggi!”.
Ora, non so come, ma il discorso è scivolato dalle amicizie tra uomini perfetti, cioè saggi (mi riferisco comunque alla saggezza che sembra accessibile all’uomo), alle amicizie di poco conto.
Ritorniamo allora al punto di partenza e cerchiamo di concludere.
È la virtù, sì è la virtù, a procurare e a conservare le amicizie. In essa c’è armonia, stabilità e coerenza. Quando sorge e mostra la sua luce, quando vede e riconosce la stessa luce in altri, vi si avvicina per ricevere, a sua volta, la luce che brilla nell’altro.
Così si accende il fuoco dell’amore, o dell’amicizia – entrambi i termini derivano infatti da amare-.
E amare altro non è che provare per chi si ama un affetto fine a sé stesso, indipendente dal bisogno e dalla ricerca di vantaggi. I vantaggi, tuttavia, sbocciano dall’amicizia, anche se non sei andato a cercarli.
Ma dal momento che la fragilità e la debolezza sono componenti della vita umana, dobbiamo sempre cercare persone a cui dare amore e da cui riceverne. Senza amore e affetto la vita perde ogni gioia.
Ecco cosa avevo da dire sull’amicizia. Ma vi esorto a dare alla virtù, senza la quale l’amicizia non può esistere, un posto tanto importante da pensare che nulla è più nobile dell’amicizia, eccetto la virtù.
Notizie storiche inerenti al trattato sull’amicizia, di Cicerone
La composizione del trattato sull’amicizia (Laelius de amicitia) di Cicerone si colloca nel 44 a.C. – anno di uccisione di Giulio Cesare.
Il periodo tra il 46 a.C. e il 44 a.C. furono per Cicerone un periodo di intensa attività letteraria e di uno spiccato interesse per la filosofia a cui si dedicò nella speranza di trovare consolazione per la lontananza dall’attivismo politico causata dalla sconfitta di Pompeo Magno, da parte di Giulio Cesare alla battaglia di Farsalo (48 a.C.) nonché ai dispiaceri personali (la morte della figlia e i divorzi dalla prima e seconda moglie).
Se vuoi avere maggiori informazioni su Cicerone, leggi anche i seguenti articoli:
- Perché Cicerone fu ucciso?
- La retorica di Cicerone
- Consigli oratori di Marco Tullio Cicerone
- Marco Tullio Cicerone
Se sei interessato al tema dell’amicizia, leggi invece:
- La natura dell’amicizia secondo Aristotele
- Significato dell’amico e del mezzo amico – racconto arabo
- Attenzione agli “amici del prosciutto”