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Storia del conflitto interpersonale

Il confitto interpersonale ha da sempre accompagnato l’umanità nella sua evoluzione.

Ancora oggi tutta la nostra vita quotidiana ne è costellata. In futuro continuerà sicuramente ad essere ancora così.

Affrontare e gestire i conflitti non ci deve spaventare. Ma per affrontarli e poterli risolverli al meglio è necessario saper riconoscerli non appena cominciano a manifestarsi.

Avere la capacità di relazionarci e negoziare adeguatamente con gli altri ci può aiutare permettendoci di trasformare un conflitto in un’opportunità.

È quindi necessario diventare più saggi nel rapportarci con gli altri ed informati quanto più possibile nell’ambito della negoziazione.

Scopo di questo articolo è quello di fornire, in particolare, alcune informazioni storiche sul conflitto interpersonale.

Conoscere maggiormente gli avvenimenti accaduti del passato ed i pensieri e le esperienze delle persone che ci hanno preceduto, potrà sicuramente fornirti interessanti spunti di riflessione ed informazioni molto utili per affrontare il tuo futuro, le tue negoziazioni e soprattutto i tuoi inevitabili presenti e futuri conflitti interpersonali.

 

Il conflitto interpersonale nel V secolo a.C.

Già nel V secolo a.C. il filosofo greco Eraclito di Efeso (535- 475 a.C.), nel suo frammento[1] più famoso: “Il conflitto è padre di tutte le cose”, immaginava l’universo come un gigantesco campo di battaglia all’interno del quale si affrontano forze più o meno equivalenti e dove il vivere quotidiano era una continua tensione, caratterizzata dal conflitto a cui purtroppo l’umanità non può fare a meno.

È proprio a partire dal V secolo a.C. che si hanno le prime testimonianze scritte sul conflitto interpersonale.

In particolare, in Grecia, nella città di Atene grazie all’incremento dei traffici commerciali ed in un clima culturale fondato sul presupposto che buona parte popolo potesse partecipare attivamente alla vita democratica, diventò importante per le persone sviluppare la capacità di utilizzare nel modo più competente ed efficace possibile “il saper parlare”, con lo scopo di far valere il proprio punto di vista nelle assemblee cittadine.

In tale contesto si sviluppò la Sofistica, un movimento intellettuale aperto alla discussione ed al dibattito, il cui cuore era rappresentato dalla retorica, cioè l’arte di persuadere l’uditorio mediante un linguaggio, chiaro, semplice e convincente.

 

I sofisti – i primi sostenitori del conflitto interpersonale

Tra i primi sostenitori del conflitto ci sono i Sofisti. Essi possono essere considerati i primi insegnanti a pagamento della storia, tecnici della comunicazione efficace che insegnavano a usare il linguaggio al fine di persuadere l’uditorio sulla validità delle proprie idee e di tenere discorsi convincenti, sia in ambito politico che giudiziario.

A partire dal II secolo a.C. i nuovi Sofisti, denominati della seconda generazione per distinguerli dalla sofistica antica, concentrano la loro attenzione sulla valenza del linguaggio sia nei suoi aspetti grammaticali sia in quelli lessicali, trasformando la retorica (l’arte di parlare in pubblico) in “eristica”, che in greco significa letteralmente “arte di battagliare” (con le parole), al fine di ottenere una vittoria sull’avversario.

Accusati di essere interessati più al successo e al guadagno che alla verità, i Sofisti furono largamente criticati dai loro contemporanei, definendoli come “prostituti della cultura”, interessati più ai soldi ed al successo che alla verità.

Contro le tesi dei sofisti si esposero in particolare i filosofi greci Aristotele (384 -322 a.C.) e Platone (428 – 347 a.C.) affermando che il conflitto è ingiusto e negativo. Per entrambi l’uomo è concepito come essere essenzialmente sociale, istintivamente portato all’associazione e all’agire cooperativo e che realizza il meglio di se stesso nel rapporto con gli altri. La conflittualità è quindi considerata un elemento negativo, destabilizzatore dell’ordine e dell’armonia.

Per Platone inoltre la verità oggettiva esiste e può essere raggiunta. La retorica, confondendo il consenso con la verità, impedisce la conoscenza autentica.

Effettivamente ancora oggi il termine “sofista” nel linguaggio attuale non ha un significato positivo, poiché lascia intendere qualcosa di artificioso.

“Sofisticato” è ad esempio il cibo contraffatto e dannoso alla salute o comunque non genuino come pure i modi di fare: ostentati e privi di spontaneità.

In pratica nel significato di questo termine sembrano esser confluite quelle connotazioni negative che alla sofistica erano state attribuite nell’antichità, che vedevano i Sofisti come creatori di argomentazioni artificiose e false, elaborate in modo abile e persuasivo ma senza alcuna preoccupazione per la verità o per la correttezza dei contenuti. La tradizione ci ha tramandato l’idea che i Sofisti insegnassero ai loro allievi il modo per riuscire ad avere sempre ragione, durante una discussione, su qualsiasi argomento.

Ad esempio, l’affermazione del filoso greco Protagora (481- 411 a.C), che diceva di essere in grado di “rendere forte il discorso debole”, fu interpretata dai critici della sofistica, come la dimostrazione della scarsa serietà di questi uomini, che avrebbero trasmesso ai loro allievi l’arte di imbrogliare il prossimo, facendo prevalere la “tesi cattiva” a discapito di quella “buona”.

Questa valutazione negativa ha fatto sì che le opere dei sofisti non fossero tenute in considerazione e dunque non venissero né trascritte né conservate. Del movimento sofistico del V secolo a.C. non ci resta pertanto nessuna opera integra e possiamo fare riferimento solo a pochi frammenti.

 

Il conflitto interpersonale nel corso del Medioevo

È comunque a partire dal IV secolo d.C., con l’emergere del Cristianesimo che si incomincia ad avere un atteggiamento decisamente negativo verso ogni forma di conflitto interpersonale.

A partire da questo secolo i Cristiani che fino al III secolo d.C. erano una minoranza perseguitata, cominciano ad elaborare una propria dottrina, adattando la filosofia greca impostata sulla fiducia esclusiva nelle sole forze dell’uomo e della ragione a quella cristiana basata sull’ascetismo, la rassegnazione e la vita individuale.

Per molti dei filosofi cristiani il conflitto interpersonale verrà considerato come disarmonia, una malattia e uno squilibrio della condizione naturale dell’uomo, quale animale sociale.

Questa considerazione negativa verso il conflitto interpersonale durerà per tutto il Medioevo.

Per i cristiani di allora, in base alla teoria dell’illuminazione: “L’uomo non possiede di per sé la verità  ma la riceve da Dio che pone in lui la luce della ragione e criteri di conoscenza perfetti e immutabili”.

Ciò stava a significare che solo Dio illumina la nostra mente conferendole la capacità di conoscere.

L’uomo conosce la verità non in virtù dell’insegnamento da parte di un’altra persona (un maestro esterno) ma tramite la luce che viene accesa nella sua anima dal maestro interiore, Cristo.

 

La fine del Medioevo e le considerazioni positive sul conflitto interpersonale

Bisognerà aspettare la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna, a partire dal 1400 d.C., con il grandioso fenomeno dell’Umanesimo continuato poi nel 1500 d.C. con il Rinascimento, affinché l’uomo smetta di vedere nel conflitto interpersonale un elemento di instabilità.

È in questo periodo che grazie anche al rifiorire dell’economia e del commercio in Europa, si assiste ad una svolta nel modo di pensare, che pone al centro la riflessione dell’uomo considerato non più nella sua dipendenza da Dio o dei suoi pastori ma nel suo autonomo spirito di iniziativa.

L’età moderna si apre proprio con il rigetto della cultura medievale, considerata oscurantistica e decadente e con il proposito esplicito di far rinascere i principi dell’antica cultura greca e romana che miravano a rendere l’uomo, consapevole delle sue capacità e padrone del proprio destino.

Con i concetti della “Riforma protestante” introdotti in Germania, dal teologo tedesco Martin Lutero (1483-1546 d.C.) e successivamente con quelli espressi nella “Dottrina della Predestinazione”  del teologo francese Giovanni Calvino (1509 – 1564 d.C.) si darà forma alla base dello spirito imprenditoriale della nuova borghesia capitalistica che nascerà più avanti.

Sotto diversi aspetti, figure certamente importanti di quei periodi sono: Nicolò Machiavelli (1469-1527 d.C.) ed il filosofo e matematico britannico Thomas Hobbes (1588-1679 d.C.). Entrambi sostennero il concetto che le relazioni umani siano naturalmente propense alla competizione individualistica, sotto la spinta delle passioni e dell’egoismo personali.

 

Il conflitto interpersonale secondo Nicolò Machiavelli

Per Machiavelli, autore del famosissimo trattato di politica “Il Principe”, il conflitto è una tendenza inevitabile, in quanto l’uomo è per sua natura disonesto, pieno di difetti e di vizi.

Dal nome Machiavelli deriva inoltre il termine “machiavellismo”, oggi in uso in tutto il mondo, che indica il ricorso agli strumenti e ai mezzi più spregiudicati, pur di raggiungere il “fine” ed è sinonimo di intrigante, astuto e spregiudicato nei rapporti sociali. Inoltre, il famoso motto: “Il fine giustifica i mezzi” che comunque non compare mai in questi termini nella sua opera, si è diffuso come sinonimo di cinismo, opportunismo e di assenza di scrupoli.

Se vuoi maggiori approfondimenti sul il trattato “Il Principe” non perderti la lettura su questo blog dell’articolo: Il Principe – Machiavelli.

 

Considerazioni di Thomas Hobbes sul conflitto interpersonale

Anche Hobbes, in linea con le idee di Machiavelli, ha una visione pessimistica dell’essere umano, che giudica fondamentalmente competitivo, egoista, avido, violento e pauroso al tempo stesso, facendo sua l’espressione latina antica: “Homo homini lupus” (l’uomo è un lupo per l’uomo).

Hobbes che scrisse molto su argomenti quali teoria politica, storia ed economia, è ricordato soprattutto per la pubblicazione nel 1651 del Leviatano. Si tratta di un’opera criticata pesantemente, specialmente dagli ambienti religiosi, fino al XX secolo, in quanto considerata atea e immorale.

Nel “Leviatano” di Hobbes, l’uomo non è per sua natura incline ad essere socievole. La natura non ha messo nell’uomo l’istinto sociale. Inoltre, l’uomo non ricerca compagni che per interesse e per bisogno:

“Per ogni uomo, un altro uomo è un concorrente, avido come lui di potenza sotto tutte le forme. Ora a grandi linee, se si considerano le cose nel loro insieme, ogni uomo è uguale all’altro. Se si tratta ad esempio della forza fisica, il più debole ne ha abbastanza per uccidere il più forte, sia usando l’astuzia, sia alleandosi ad altri che sono come lui minacciati dal pericolo. Eguaglianza di capacità che dà ad ognuno un’eguale speranza di raggiungere i propri fini, che spinge ognuno a tentare di distruggere o soggiogare l’altro. Concorrenza, sfiducia reciproca, avidità di gloria o di reputazione hanno per risultato la guerra perpetua di ognuno contro ognuno, di tutti contro tutti”.

Per Hobbes però, poiché nessun uomo è tanto forte da non aver paura di essere sopraffatto dall’altro, se vuole liberarsi dalla condizione primitiva di lotta indiscriminata di tutti contro tutti, deve stringere un “patto sociale” nel quale gli individui trasferiscono ad una singola persona (un monarca od un’assemblea) il compito di garantire la pace e la tranquillità all’interno della società.

Timore, debolezza ed egoismo sono all’origine di tale patto, in virtù del quale ogni potere è trasferito ad un “terzo”.  In pratica è necessario istituire un sistema che obblighi le persone ad obbedire alle regole e le punisca in caso di trasgressione, perché: “I patti senza la spada non sono che parole”.

 

Il pensiero di Adam Smith sul conflitto interpersonale

Le idee di cui sopra saranno poi alla base dello sviluppo del pensiero liberista in economia, che avrà il suo maggior rappresentante nell’economista scozzese Adam Smith (1723-1790 d.C.), ritenuto il fondatore della scienza economica moderna ed autore del testo: “La ricchezza delle nazioni”, considerato il punto di partenza del pensiero economico moderno.

Per Smith la libertà e l’egoismo individuali non vanno limitati, perché sono il motore della prosperità di una nazione. Le azioni egoistiche di ciascun individuo non comportano una situazione di lotta distruttiva ma creano indirettamente il benessere per la collettività.

Per Smith, il comportamento dell’uomo dipende dai seguenti fattori:

  • Egoismo
  • Simpatia
  • Desiderio di libertà
  • Senso della proprietà
  • Tendenza al baratto.

Attraverso questi elementi ogni persona ricerca il proprio interesse e così facendo, persegue indirettamente il bene di tutti. All’interno del sistema di mercato è come se ci fosse una “mano invisibile” che orienta in senso collettivo comportamenti mossi da scopi puramente individuali; pertanto poiché i prezzi dipendono dalla legge della domanda e dell’offerta, gli individui e le imprese mosse dalla ricerca del profitto saranno sempre spinti a rendere disponibili sul mercato beni graditi ai consumatori a prezzi competitivi.

Le teorie economiche sulla “mano invisibile” verranno poi criticate dall’economista inglese John Maynard Keynes (1883-1946 d.C.), di fronte alla disoccupazione di massa, causata dalla grande depressione economica finanziaria iniziata nel 1929 negli Stati Uniti, per essere criticate a loro volta successivamente, ma questo è oggetto di un’altra storia.

 

 

Ulteriori considerazioni sul conflitto interpersonale

Personalmente credo che l’umanità non si libererà mai in modo definitivo dal conflitto interpersonale.

L’unico modo che abbiamo per affrontarlo e gestirlo in modo soddisfacente è quello di fare di tutto per comprenderlo.

La negoziazione è un tema complesso che avviene in un ambito nel quale sono sempre presenti il conflitto e la comunicazione.  Per agire bene, è necessario capire di più la natura umana e soprattutto le diversità di carattere ed interessi che caratterizzano le persone e che fanno nascere i conflitti.

Numerosi possono essere i fattori che fanno scaturire un conflitto. Le persone non sono sempre razionali e di conseguenza i principali fattori alla base di un conflitto saranno quelli emotivi e cognitivi. L’idea di conflitto infatti prima ancora di essere un dato oggettivo nasce inizialmente nella testa delle persone in base a come vedono le situazioni.

Capire meglio i motivi che fanno emergere il conflitto ci permetterà di negoziare al meglio.

Nei prossimi articoli relativi al conflitto interpersonale avremo modo di approfondire un po’ di più tutto questo. Parleremo infatti di:

 

 

[1]  Per frammento si intende una porzione di testo facente parte di un’opera filosofica andata perduta In questo caso si tratta del frammento 53, della sua opera filosofica di cui sono sopravvissuti, attraverso testimonianze solo pochi frammenti.


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