L’inventio per Marco Tullio Cicerone (106 – 43 a.C.) è la prima delle cinque fasi dell’arte di saper comunicare che servono per formulare un buon discorso.
Le altre, vedi in particolare l’articolo presente su questo blog dal titolo: La retorica di Cicerone, sono nell’ordine:
- INVENTIO – (l’invenzione). Di cui ci occuperemo in questo articolo. E’ il trovare cosa dire. È la ricerca di argomenti validi e credibili. Molto interessante lo spunto di riflessione, contenuta sempre nell’Inventio, sull’efficacia di ricorrere al Ridicolo (l’ironia, l’umorismo, le battute di spirito e i doppi sensi);
- DISPOSITIO – (la disposizione degli argomenti): è il mettere in ordine tutto il materiale che si è trovato al fine di supportare il nostro discorso, nonché la sua organizzazione secondo un certo criterio;
- ELOCUTIO – (l’elocuzione). Riguarda la scelta delle parole e delle frasi adatte agli argomenti del contesto. L’elocutio viene quindi sempre dopo la scelta degli argomenti che verranno utilizzati (Inventio) e la loro disposizione (Dispositio) all’interno di un discorso o di uno scritto. Nell’ambito dell’Elocutio, è contemplata anche la Metafora;
- MEMORIA – (la memoria). Imparare a memoria. È il solido possesso degli argomenti e delle parole nella mente;
- ACTIO – (la declamazione). Esporlo con il gesto. L’uso della voce e della gestualità, in modo adatto agli argomenti trattati.
L’Inventio (l’invenzione) rappresenta in particolare il primo passo verso lo sviluppo di una comunicazione efficace che consiste nella ricerca degli argomenti validi e credibili e nell’organizzazione degli stessi, veri o verosimili, da trattare durante un discorso.
La fase di Inventio, che in italiano equivale allo: scoprire, scovare, tirar fuori, rinvenire, trovare, può essere rappresentata come il primo atto nel tentativo di generare idee e argomenti convincenti e coinvolgenti.
È da tener presente che l’inventio rimanda non tanto al costruire od inventare gli argomenti, quanto piuttosto ad una scoperta degli stessi. Per Cicerone, tutto esiste già, bisogna solo ritrovarlo.
Individuare quali cose devono essere dette per sostenere una dimostrazione o una spiegazione, e in quale ordine dirle, è la qualità più specifica di un buon comunicatore e negoziatore, che dovrà sempre tenere a mente due obiettivi: il contenuto e la forma in cui esprimerlo.
Quanto segue è tratto (con adatt.) principalmente dall’opera De oratore, di Marco Tullio Cicerone
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Ogni argomento da trattare va studiato in modo dettagliato
Per prima cosa daremo questo consiglio, magari qualcuno ne riderà, perché è più utile che profondo, ed è più un suggerimento dettato dal buon senso, che l’insegnamento di un saggio maestro: qualunque sia l’argomento da trattare è necessario studiarlo a fondo ed in ogni dettaglio, poiché chi parla di un argomento che non conosce non può che parlarle in modo del tutto ignobile: così, mentre le persone non si curano della taccia di pigrizia che è più grave, si guadagnano quella di stupidità, che temono di più di ogni altra.
Per parlare di un argomento bisogna conoscerlo: Annibale cacciato da Cartagine e recatosi in esilio a Efeso, presso Antioco, fu invitato dai suoi ospiti, per il fatto che il suo nome era celebre ovunque, ad ascoltare, se gli avesse fatto piacere, il filosofo Formione.
Poiché Annibale non rifiutò, si dice che quell’uomo eloquente parlo per ore sui compiti di un comandante supremo e su ogni aspetto dell’arte militare. Alla fine, tutti gli uditori, vivamente compiaciuti, chiesero ad Annibale che cosa pensasse di quel filosofo: il Cartaginese, si dice, rispose che spesso aveva visto vecchi pazzi, ma nessuno più pazzo di Formione. In quanto senza aver visto né un nemico né un accampamento, senza aver mai avuto nessun incarico pubblico si permettesse di dare insegnamenti sull’arte militare.
L’importanza di mettersi nei panni degli altri
La mia pratica abituale è di far sì che il cliente mi illustri il suo caso, da solo a solo, perché possa esprimersi più liberamente, e poi di prendere le parti del suo avversario, per costringerlo a difendere la sua causa e a esporre interamente il suo punto di vista sulla questione. Poi, una volta che il cliente se ne è andato da solo interpreto con la massima imparzialità tre ruoli: il mio, quello della parte avversa e quello di giudice. Decido di sviluppare quell’argomento che è tale da arrecare più utilità che danno; scarto ed elimino completamente quello in cui trovo più svantaggio che profitto.
I tre principi della persuasione
Tutta l’arte del dire poggia sui seguenti tre principi di persuasione:
- Accattivarsi la simpatia degli ascoltatori;
- Dimostrare la veridicità della propria tesi;
- Provocare nell’animo degli uditori qualsiasi emozione richiesta dalla necessità di coinvolgerli emotivamente.
Di questi tre principi, gli unici che possono convincere: il primo esige dolcezza nel parlare, il secondo acume, il terzo energia.
Perché il giudice decida la causa in nostro favore infatti è necessario che o sia ben disposto verso di noi per inclinazione spontanea o venga persuaso dalle nostre argomentazioni o indotto dalle sue emozioni.
Requisiti fondamentali per l’Inventio
Tre sono i requisiti essenziali all’Inventio:
- Acume, vale a dire la sottigliezza di ingegno;
- Competenza tecnica;
- Volontà – Applicazione coscienziosa.
Io non posso non attribuire il primo posto all’acutezza di ingegno.
Ma la volontà, l’applicazione, può spronare l’ingegno stesso, quando esso sia pigro.
L’applicazione coscienziosa, dico, che ha un ruolo molto importante in tutte le cose e in particolare quando si deve trattare un argomento, perché non vi è nulla che essa non possa conseguire.
È grazie alla volontà, all’applicazione, che possiamo conoscere a fondo le questioni che dobbiamo trattare e che fa si di essere in grado di ascoltare con attenzione l’avversario e di afferrare interamente ogni singola parola e di cogliere ogni espressione del viso, che generalmente tradisce le espressioni dell’animo.
Fra ingegno e applicazione resta pochissimo spazio alla competenza tecnica. La sua funzione si limita ad indicare il luogo dove si deve cercare e dove si trova quello che l’oratore si studia di reperire.
Tutto il resto è riposto nella cura, nell’attenzione, nella riflessione, nella sollecitudine, nella costanza, nel duro lavoro; per riassumere con una parola che ho già usato più volte, nell’applicazione, cui sola fanno capo tutte le altre qualità.
Come accattivarsi il favore dell’uditorio
Niente conta di più nell’oratoria del fatto che l’ascoltatore sia ben disposto nei confronti dell’oratore e sia emotivamente coinvolto, cosi dà lasciarsi dominare più dagli impulsi e dalle emozioni che da una valutazione critica e razionale.
Gli uomini giudicano molto più in base a odio o amore, desiderio, ira, dolore, gioia, speranza, timore, o per qualche altro moto interiore, piuttosto che in base alla verità o alle leggi.
Ha dunque molta importanza per il successo di quanto stiamo discutendo che siamo posti in una luce favorevole le nostre azioni e che, per contro, siano screditate quelle degli avversari.
Ma giovano all’oratore anche il tono pacato della voce, il volto atteggiato a modestia, il linguaggio affabile: se ti lasci prendere dalla foga, deve sembrare che tu sia costretto tuo malgrado.
È molto utile dare l’impressione di un carattere affabile, generoso, mansueto, rispettoso dei doveri, di un animo riconoscente, non smanioso né avido.
Tutte le doti proprie degli uomini onesti, modesti, non violenti, non ostinati, non litigiosi, non scostanti conciliano bene la simpatia e rendono ostili nei confronti di chi non le possiede. E così le qualità contrarie si devono attribuire, per la stessa ragione agli avversari.
Non sempre è necessaria un’orazione forte. Spesso è sufficiente un discorso pacato, sommesso, mite, che più di altro metta in buona luce la parte in causa che ci interessa. Presentarne nell’orazione il carattere come di persone giuste, integre, scrupolose, modeste, che sopportano con pazienza le offese, ha straordinaria efficacia.
Sapere sviluppare, in modo piacevole e con sensibilità questo argomento nell’esordio, nella narrazione o nella perorazione, ha molta influenza.
Si ottiene poi tanto con una certa sensibilità e un certo modo di parlare, che indica affabilità e che fa sì che gli oratori appaiano onesti e corretti.
L’oratore deve provare le medesime emozioni che vuole destare in chi giudica
È impossibile che l’ascoltatore provi dolore, avversione o rancore, che senta un timore, che venga trascinato al pianto o alla misericordia, se tutti quei motivi dell’animo che l’oratore intende suscitare in chi ci giudica non si mostreranno come impressi a fuoco nello stesso oratore.
Non puoi suscitare in chi giudica dolore o misericordia o invidia o avversione, senza sentirti tu stesso mosso dalle passioni alle quali li vuoi trascinare. Inoltre non puoi scatenare l’ira di chi giudica contro chi tu voglia, se dal canto tuo non dai l’impressione di provare con intensità quel sentimento.
Non puoi scatenare il suo odio contro qualcuno se prima non avrà visto te ardente di odio; ne potrà essere spinto alla compassione, se tu non avrai mostrato i segni del tuo dolore con le parole, con i pensieri, con il tono della voce, con l’espressione, persino con il pianto.
Come infatti nessun materiale è tanto infiammabile da poter prendere fuoco se non gli viene accostato il fuoco; così, se non ce mente tanto disposta a farsi influenzare se egli non le si avvicina infiammato e ardente.
Gli accorgimenti per coinvolgere emotivamente chi ci giudica
Se dovremo suscitare simpatia nei confronti di qualcuno, dovremo convincere l’uditorio che costui non ha agito per un guadagno personale o a proprio vantaggio: la gente infatti guarda con ostilità chi bada solo ai propri interessi, mentre è ben disposta verso chi si preoccupa di agevolare il prossimo.
Al tempo stesso dobbiamo fare attenzione a non dare l’impressione di esagerare nel lodare e magnificare coloro nei confronti delle cui benemerenze vogliamo attirare simpatia. Questo perché rischiamo di suscitare invidia nei suoi confronti.
Di tutte le emozioni è infatti l’invidia quella più forte e richiede non meno fatica a reprimerla che a suscitarla.
Gli uomini provano invidia soprattutto verso i propri pari o inferiori che si siano elevati, poiché hanno la sensazione di essere stati lasciati indietro; ma invidiano con forza anche i propri superiori, specialmente quando questi hanno un atteggiamento sgradevole e oltrepassano la giusta misura, ostentando autorità o successo.
Se intendiamo suscitare antipatia verso dei privilegi, dobbiamo dire che non sono stati ottenuti per meriti ma anzi con comportamenti poco virtuosi e colpevoli; se poi si tratterà di persone molto stimate e autorevoli, diremo che nessuno dei loro pregi giustifica così tanta arroganza e presunzione.
Per allontanare l’invidia da qualcuno dobbiamo invece dire che questi ha raggiunto la propria posizione a prezzo di grande fatica e impegno, correndo gravi rischi, e che l’ha messa al servizio degli altri, non suo; diremo anche che di tale prestigio, peraltro meritato, non si è mai compiaciuto ed è pronto a rinunciarvi totalmente.
Poiché la maggior parte degli uomini è invidiosa e l’invidia è un vizio assai comune e diffuso, bisogna attenuare tale impressione e convincere l’uditorio che a un enorme successo sono mescolate fatiche e sofferenze.
Se vuoi approfondire questo tipo di argomenti, leggi anche l’articolo presente su questo blog dal titolo: Retorica, l’arte di saper comunicare
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