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Aulularia – La commedia della pentola

Chi ha rubato la pentola? La straordinaria commedia di Tito Maccio Plauto

Trama della Aulularia (o Commedia della pentola)

Nella Aulularia (o Commedia della pentola) di Tito Maccio Plauto, la vicenda ha come protagonista il vecchio avaro Euclione che ha avuto in eredità una pentola piena d’oro e non pensa ad altro che a conservarla ben nascosta.

Euclione ha una figlia, Fedria, che vorrebbe dare in moglie all’anziano e ricco vicino di casa Megadoro per risparmiare sulla dote. Non sa però che Fedria è stata sedotta e messa incinta dal giovane Liconide, nipote proprio del vicino di casa.

Durante i preparativi per le nozze, Euclione pensa di cambiare il nascondiglio della famosa pentola, ma viene visto da un servo e derubato, cosa che lo getta nella disperazione.

Il lieto fine è ovviamente assicurato: Fedria sposerà Liconide ed Euclione tornerà in possesso della sua pentola.

 

Aulularia (La commedia della pentola) Atto IV, Scena nona

La scena nona, dell’atto IV, è famosa per via del fatto che l’avaro Euclione, fuori di sé per la disperazione, cerca il ladro della sua pentola piena d’oro e implora gli spettatori perché lo aiutino a ritrovarla. Tale scena è anche importante per spiegare “la rottura dell’illusione scenica”, vedi a tal proposito l’articolo su: Tito Maccio Plauto

EUCLIONE, poi LICONIDE

EUCLIONE – Sono perduto! Sono rovinato! Sono morto! Dove corro? Dove non corro? Fermatelo, fermatelo! Ma chi debbo fermare? E chi lo fermerà? Non lo so, non lo so, non ci capisco più nulla!

(Rivolto al pubblico) Vi scongiuro, vi prego, vi supplico, aiutatemi voi: indicatemi l’uomo che me l’ha rubata.

(Rivolto a uno spettatore) Che ne dici tu? Sta’ sicuro ch’io ti crederò, perché dalla faccia vedo che sei una brava persona. Ma che c’è? Perché ridete? Vi conosco tutti: so che qui ci sono parecchi ladri, che si nascondono sotto una toga imbiancata, e se ne stanno seduti come fossero dei galantuomini… Ehi, non ce l’ha nessuno di costoro? No? Mi hai ucciso! Dimmi dunque, chi ce l’ha: non lo sai? Ah, povero me, che sventura! Sono rovinato! Sono completamente rovinato.

Troppo dolore mi ha portato questo giorno, quanto dolore, quanta pena, fame e miseria! Sono l’uomo più disgraziato della terra.

Che bisogno ho di vivere, ora che ho perduto tutto quell’oro che avevo custodito con tanta cura! Mi sono imposto tanti sacrifici e privazioni. E ora saranno gli altri a goderselo in allegria, alla faccia della mia disgrazia e della mia rovina. Oh, non ho la forza di sopportare una cosa simile.

LICONIDE (a parte) – Chi è quest’uomo che si sta lamentando e piange così dolorosamente davanti a casa nostra? Oh, ma quello, se non sbaglio, è Euclione! Oh, che disastro, sono rovinato! Ha scoperto tutto. Sicuramente sa già che sua figlia ha partorito. E io che faccio ora? Non so se andarmene o restare, se parlargli o scappare. Non so proprio che accidente di pesci prendere.

 

Aulularia (La commedia della pentola) Atto IV, Scena decima

Nella scena decima, invece, Liconide, ignaro del furto, decide che è arrivato il momento di parlare con Euclione, confessando la sua colpa (la seduzione della figlia): ma quest’ultimo fraintende e crede che il giovane stia confessando il furto: ne nasce un dialogo comico, tutto giocato sul meccanismo dell’equivoco, dei malintesi e dei doppi sensi, in quanto Euclione, che ha appena scoperto il furto della pentola, non pensa che a ritrovarla, mentre Liconide, ignaro del furto e dell’esistenza della pentola, pensa invece solo a Fedria.

Gli stessi personaggi (Euclione e Liconide)

EUCLIONE — Chi c’è? chi parla di là?

LICONIDE — Sono io, un disgraziato.

EUCLIONE — No, il vero disgraziato sono io: io, subissato da tanti guai e tribolazioni.

LICONIDE — Via, fatti coraggio.

EUCLIONE — Farmi coraggio? E come posso farmi coraggio?

LICONIDE — Il fattaccio, per cui ti crucci a questo modo, sono stato io a commetterlo: te lo confesso.

EUCLIONE — Ma che dici mai?

LICONIDE — È la verità!

EUCLIONE — E che ti avevo fatto io di male, o giovane, per combinarmi una cosa simile, per mettere in mezzo a una strada me e i miei figli?

LICONIDE — È stato un dio a farmi perdere la testa, ad attirarmi verso di lei.

EUCLIONE — E come?

LICONIDE — Confesso d’aver peccato; so di essere in torto. Per questo vengo a pregarti di essere indulgente, di perdonarmi.

EUCLIONE — Ma come hai osato fare una cosa simile? Toccare ciò che non era tuo!

LICONIDE — Che vuoi farci? Ormai quello che è stato è stato e non si può tornare indietro. Credo che sia stata la volontà degli dèi! Certo è che se non avessero voluto, la cosa non sarebbe successa. Così la penso io.

EUCLIONE — E io penso che la volontà degli dèi sia che ora ti faccia crepare a casa mia con una catena al collo.

LICONIDE — Non dire così.

EUCLIONE — Ma come ti sei permesso, senza il mio consenso, di toccare una cosa mia?

LICONIDE — Tutta colpa del vino e dell’amore!

EUCLIONE — Che faccia di bronzo! Ma come hai il coraggio di presentarti a me e di tenermi un simile discorso? Ti sembra questa una ragione sufficiente per giustificarti di quello che hai fatto? Ah, se è così, possiamo senz’altro metterci in piazza a rubare in pieno giorno i gioielli alle matrone. Poi, quando ci arrestano, ci scuseremo dicendo che l’abbiamo fatto per ubriachezza, per amore! Varrebbero davvero poco il vino e l’amore, se agli ubriachi e agli innamorati dovesse essere lecito tutto ciò che salta loro per il capo.

LICONIDE — Ma io mi sono presentato da te di mia volontà, per supplicarti di perdonare il mio errore.

EUCLIONE — Non mi piacciono le persone che prima fanno il danno e poi chiedono scusa. Tu sapevi che non era tua. Non avresti dovuto toccarla.

LICONIDE — Dal momento che ho avuto la sconsideratezza di toccarla, non voglio cercare dei pretesti. Chiedo solo di tenermela di pieno diritto.

EUCLIONE — Cosa? Tu vorresti tenere, contro il mio volere, una cosa mia?

LICONIDE — No, non la voglio senza il tuo consenso, ma ritengo che sia giusto che sia mia. E anche tu, Euclione, t’assicuro che troverai giusto che essa sia mia.

EUCLIONE — Ma io, corpo di Bacco, ti trascinerò dinanzi al pretore e ti intenterò un processo, se non restituisci…

LICONIDE — Cosa dovrei restituirti?

EUCLIONE — Il mio, quello che hai rubato! Se non me lo restituisci, corpo di Bacco, ti trascino dal pretore e ti faccio causa.

LICONIDE — Io rubarti? E quando mai? Di che si tratta?

EUCLIONE — (ironicamente) Che Giove ti protegga, com’è vero che non ne sai nulla.

LICONIDE — Mi vuoi almeno dire che cosa stai cercando?

EUCLIONE — La pentola dell’oro, ecco cosa voglio. Tu stesso hai detto d’avermela rubata.

LICONIDE — Macché, perbacco! Io una cosa simile né l’ho detta né l’ho fatta!

EUCLIONE — Vuoi negarlo?

LICONIDE — Certo che lo nego, anzi stranego! Io non so nulla né dell’oro né della pentola. Che pentola è?

 

La Scena nona e decima, dell’ Atto IV, sopra riportati, sono tratti (con adattamenti e riduzioni) da Aulularia, di Tito Maccio Plauto, Garzanti, 2017

 

Il malinteso comico in Plauto

Plauto ottiene l’effetto comicità adottando una tecnica classica e sempre efficace, quella del malinteso.

Nella Scena decima dell’Atto IV, i due personaggi (Euclione e Liconide) parlano di cose diverse, la pentola e Fedria, ricorrendo a un linguaggio allusivo (“Toccare ciò che non era tuo!”, “Tu sapevi che non era tua. Non avresti dovuto toccarla”, “Tu vorresti tenere, contro il mio volere, una cosa mia?”).

Gli spettatori, che ne sanno più dei personaggi, sono in una condizione di superiorità e si divertono assistendo al dialogo fra due che si credono di intendersi e non si intendono affatto.

La consapevolezza degli spettatori è fondamentale perché scatti il riso; se gli spettatori non sapessero a che cosa stanno alludendo i due personaggi, la scena resterebbe incomprensibile e non farebbe ridere nessuno.

 

Da Plauto a Molière

All’Aulularia di Plauto si ispira L’avaro di Molière (1668), uno dei capolavori del teatro comico del Seicento.

Rispetto al modello antico però, Molière accentua l’analisi del carattere del suo protagonista, Arpagone: il tema dell’identità legata al possesso diventa centrale. Arpagone viene descritto con maggiore profondità psicologica, senza per questo dover rinunciare alla forza comica delle situazioni e dei dialoghi.

 

Per maggiori informazioni su questa commedia leggi, su questo blog, anche: Aulularia – La commedia della pentola – Prologo

 

Se ti piace saperne di più sul teatro, leggi anche gli altri articoli che sono, su questo blog, all’interno della categoria: Teatro

 


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