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Aulularia – La commedia della pentola, Atto IV, Scena Nona e Decima

Chi ha rubato la pentola? La straordinaria commedia di Tito Maccio Plauto

Nella Commedia della pentola (Aulularia) di Tito Maccio Plauto il vecchio avaro Euclione custodisce gelosamente una pentola piena d’oro e non ha pensieri per altro. Così, non si accorge che la figlia Fedria ha un legame d’amore segreto con il giovane Liconide, da cui ha appena avuto un figlio.

Liconide è nipote di Megadoro, un ricco vicino di casa, a sua volta innamorato di Fedria e disposto, pur di averla in sposa, a prenderla anche senza la dote.

La scena nove, dell’atto IV, è famosa per via del fatto che l’avaro Euclione, fuori di sé per la disperazione cerca il ladro e implora gli spettatori perché lo aiutino a ritrovare la sua pentola piena d’oro. Tale scena anche è importante per spiegare “la rottura dell’illusione scenica”, vedi a tal proposito l’articolo su: Tito Maccio Plauto

Nella scena decima, invece, Liconide, ignaro del furto, decide che è arrivato il momento di parlare con Euclione, rivelando il suo amore segreto per la figlia: ne nasce un dialogo comico, tutto giocato sul meccanismo dell’equivoco, in quanto Euclione, che ha appena scoperto il furto della pentola, non pensa che a ritrovarla, mentre Liconide, ignaro del furto e dell’esistenza della pentola, pensa invece solo a Fedria.

 

Aulularia (La commedia della pentola) Atto IV, Scena Nona

EUCLIONE, poi LICONIDE

EUCLIONE – Sono perduto! Sono rovinato! Sono morto! Dove corro? Dove non corro? Fermatelo, fermatelo! Ma chi debbo fermare? E chi lo fermerà? Non lo so, non lo so, non ci capisco più nulla!

(Rivolto al pubblico) Vi scongiuro, vi prego, vi supplico, aiutatemi voi: indicatemi l’uomo che me l’ha rubata.

(Rivolto a uno spettatore) Che ne dici tu? Sta’ sicuro ch’io ti crederò, perché dalla faccia vedo che sei una brava persona. Ma che c’è? perché ridete? Vi conosco tutti: so che qui ci sono parecchi ladri, che si nascondono sotto una toga imbiancata, e se ne stanno seduti come fossero dei galantuomini… Ehi, non ce l’ha nessuno di costoro? no? mi hai ucciso! Dimmi dunque, chi ce l’ha: non lo sai? Ah, povero me, che sventura! sono rovinato! Sono completamente rovinato.

Troppo dolore mi ha portato questo giorno, quanto dolore, quanta pena, fame e miseria! Sono l’uomo più disgraziato della terra.

Che bisogno ho di vivere, ora che ho perduto tutto quell’oro che avevo custodito con tanta cura! Mi sono imposto tanti sacrifici e privazioni. E ora saranno gli altri a goderselo in allegria, alla faccia della mia disgrazia e della mia rovina. Oh, non ho la forza di sopportare una cosa simile.

LICONIDE (a parte) – Chi è quest’uomo che si sta lamentando e piange così dolorosamente davanti a casa nostra? Oh, ma quello, se non sbaglio, è Euclione! oh, che disastro, sono rovinato! Ha scoperto tutto. Sicuramente sa già che sua figlia ha partorito. E io che faccio ora? Non so se andarmene o restare, se parlargli o scappare. Non so proprio che accidente di pesci prendere.

 

Aulularia (La commedia della pentola) Atto IV, Scena Decima

Gli stessi personaggi.

EUCLIONE — Chi c’è? chi parla di là?

LICONIDE — Sono io, un disgraziato.

EUCLIONE — No, il vero disgraziato sono io: io, subissato da tanti guai e tribolazioni.

LICONIDE — Via, fatti coraggio.

EUCLIONE — Farmi coraggio? E come posso farmi coraggio?

LICONIDE — Il fattaccio, per cui ti crucci a questo modo, sono stato io a commetterlo: te lo confesso.

EUCLIONE — Ma che dici mai?

LICONIDE — È la verità!

EUCLIONE — E che ti avevo fatto io di male, o giovane, per combinarmi una cosa simile, per mettere in mezzo a una strada me e i miei figli?

LICONIDE — È stato un dio a farmi perdere la testa, ad attirarmi verso di lei.

EUCLIONE — E come?

LICONIDE — Confesso d’aver peccato; so di essere in torto. Per questo vengo a pregarti di essere indulgente, di perdonarmi.

EUCLIONE — Ma come hai osato fare una cosa simile? Toccare ciò che non era tuo!

LICONIDE — Che vuoi farci? Ormai quello che è stato è stato e non si può tornare indietro. Credo che sia stata la volontà degli dèi! Certo è che se non avessero voluto, la cosa non sarebbe successa. Così la penso io.

EUCLIONE — E io penso che la volontà degli dèi sia che ora ti faccia crepare a casa mia con una catena al collo.

LICONIDE — Non dire così.

EUCLIONE — Ma come ti sei permesso, senza il mio permesso, di toccare una cosa mia?

LICONIDE — Tutta colpa del vino e dell’amore!

EUCLIONE — Che faccia di bronzo! ma come hai il coraggio di presentarti a me e di tenermi un simile discorso? ti sembra questa una ragione sufficiente per giustificarti di quello che hai fatto? Ah, se è così, possiamo senz’altro metterci in piazza a rubare in pieno giorno i gioielli alle matrone. Poi, quando ci arrestano, ci scuseremo dicendo che l’abbiamo fatto per ubriachezza, per amore! Varrebbero davvero poco il vino e l’amore, se agli ubriachi e agli innamorati dovesse essere lecito tutto ciò che salta loro per il capo.

LICONIDE — Ma io mi sono presentato da te di mia volontà, per supplicarti di perdonare il mio errore.

EUCLIONE — Non mi piacciono le persone che prima fanno il danno e poi chiedono scusa. Tu sapevi che non era tua. Non avresti dovuto toccarla.

LICONIDE — Dal momento che ho avuto la sconsideratezza di toccarla, non voglio cercare dei pretesti. Chiedo solo di tenermela di pieno diritto.

EUCLIONE — Cosa? Tu vorresti tenere, contro il mio volere, una cosa mia?

LICONIDE — No, non la voglio senza il tuo consenso, ma ritengo che sia giusto che sia mia. E anche tu, Euclione, t’assicuro che troverai giusto che essa sia mia.

EUCLIONE — Ma io, corpo di Bacco, ti trascinerò dinanzi al pretore e ti intenterò un processo, se non restituisci…

LICONIDE — Cosa dovrei restituirti?

EUCLIONE — Il mio, quello che hai rubato! se non me lo restituisci, corpo di Bacco, ti trascino dal pretore e ti faccio causa.

LICONIDE — Io rubarti? e quando mai? di che si tratta?

EUCLIONE — (ironicamente) Che Giove ti protegga, com’è vero che non ne sai nulla.

LICONIDE — Mi vuoi almeno dire che cosa stai cercando?

EUCLIONE — La pentola dell’oro, ecco cosa voglio. Tu stesso hai detto d’avermela rubata.

LICONIDE — Macché, perbacco! Io una cosa simile né l’ho detta né l’ho fatta!

EUCLIONE — Vuoi negarlo?

LICONIDE — Certo che lo nego, anzi stranego! Io non so nulla né dell’oro né della pentola. Che pentola è?

 

TRATTO (CON ADATT. E RIDUZ.) DA AULULARIA, DI TITO MACCIO PLAUTO, GARZANTI, 2017

 

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