Il soldato fanfarone (in latino “Miles Gloriosus”) è una commedia dell’autore romano Tito Maccio Plauto, scritta intorno al 205 a.C. Si tratta di una delle opere più famose e rappresentative del teatro dell’antica Roma.
La trama ruota attorno al personaggio del soldato Pirgopolinice (in greco: “espugnatore di torri e di città”), un fanfarone vanitoso e presuntuoso che si crede di essere il più coraggioso tra tutti i soldati, e come rivela poco dopo, un’eroe irresistibile agli occhi delle donne.
La commedia incomincia con un divertente dialogo che porta subito in primo piano la personalità buffa ed esagerata del soldato spaccone.
Il suo servo Artotrogo (in greco: “mangiapane” o “rosicchia pane”) è invece un adulatore di professione, che loda il suo padrone, sperando di ottenere del cibo, ma in disparte mette in ridicolo le affermazioni trionfanti del soldato fanfarone e vanitoso.
Miles Gloriosus – Il soldato fanfarone – Atto I, Scena I
PIRGOPOLINICE – ARTOTROGO
PIRGOPOLINICE – (uscendo di casa e parlando ai servi) Fate attenzione! Il mio scudo deve brillare più dei raggi del sole in un cielo sereno. Così che, nel caso ci si azzuffi, abbagli fortemente in battaglia la vista dei nemici. E ora lasciate che io dica qualche parola di conforto a questa mia spada, perché non si lamenti, poverina, e non si perda d’animo, poiché da troppo tempo la tengo in pausa forzata mentre lei spasima dalla voglia di far polpette dei nemici. Ma dov’è Artotrogo?
ARTOTROGO – È qui, proprio qui, vicino ad un eroe che è forte, favoloso d’aspetto come te. E soprattutto grande guerriero! Marte non si sognerebbe di vantare le proprie gesta e di paragonarle alle tue!
PIRGOPOLINICE – Marte? Vuoi alludere a quel tale che ho salvato nei campi gorgoglioneschi, dove il capo supremo si chiamava Bumbummachide Fessachioide, il nipote di Nettuno?
ARTOTROGO – Ah, mi ricordo! Tu parli di quel guerriero con l’armatura tutta d’oro le cui legioni, tu le hai spazzate via d’un soffio, come fa il vento con le foglie e con i tetti di paglia.
PIRGOPOLINICE – Si, per Polluce! Ma questo è niente!
ARTOTROGO – D’accordo, per Ercole! Non è niente al confronto con le altre imprese che potrei citare… (a parte) e che tu non hai mai compiuto! Se qualcuno ne conosce uno più bugiardo di lui, più sbruffone di lui, mi tenga pure come schiavo, io mi consegno mani e piedi. Però c’è un fatto: a casa sua si mangia un pasticcio d’olive che ti fa perdere la testa!
PIRGOPOLINICE – Ehi, dove sei?
ARTOTROGO – Eccomi qua. Ma tu, in India, con quell’elefante, come hai fatto a rompergli un braccio con un pugno?
PIRGOPOLINICE – Un braccio? Ma che cosa dici?
ARTOTROGO- Ah, già! Volevo dire una gamba.
PIRGOPOLINICE – Ma sì, gli ho dato un colpetto.
ARTOTROGO – Per Polluce! Se facevi sul serio, il tuo braccio gli sfondava la pelle a quell’elefante, e le budella gli venivano fuori dalla bocca.
PIRGOPOLINICE – Non ho voglia di parlare di queste cose, adesso.
ARTOTROGO – Per Ercole! Le tue imprese, mica è il caso che tu le racconti a me, che le conosco per filo e per segno. (A parte) È il ventre che mi fa passare queste tribolazioni. Se le orecchie non orecchiano, i denti mi si sdentano (per l’inattività causata dalla mancanza di cibo). E così lui racconta frottole e io dico di sì.
PIRGOPOLINICE – Cos’è che stavo per dirti?
ARTOTROGO – Ah, lo so io che cosa vuoi dire. E’ vero – per Ercole – è andata proprio così, mi ricordo bene.
PIRGOPOLINICE – E cioè?
ARTOTROGO – Tutto quel che vuoi.
PIRGOPOLINICE – Hai?…
ARTOTROGO – Vuoi le tavolette? Le ho, e anche lo stilo (si tratta del necessario per scrivere. Nel mondo romano tavolette di legno ricoperte di cera venivano incise con uno stilo, una bacchetta appuntita).
PIRGOPOLINICE – Bravo, il tuo animo si aggancia sempre al mio.
ARTOTROGO – Dovere. Sì, è mio dovere studiare i tuoi pensamenti, fiutare le tue intenzioni.
PIRGOPOLINICE – E che ricordi?
ARTOTROGO – Dunque: in Cilicia sono centocinquanta, cento in Scitolatronia, trenta in Sardegna, in Macedonia sessanta. Sono tutti quelli che tu hai ucciso in un solo giorno.
PIRGOPOLINICE – E la somma qual è?
ARTOTROGO – Settemila.
PIRGOPOLINICE – Sì, dev’essere così. I conti li tieni benissimo.
ARTOTROGO – E nota che non ci ho nulla di scritto, tutto a memoria, io.
PIRGOPOLINICE – Per Polluce, hai una memoria magnifica.
ARTOTROGO – (tra sé) Me la rinfrescano i manicaretti.
PIRGOPOLINICE – Se continui così, tu mangerai sempre. Alla mia tavola sarai sempre il benvenuto.
ARTOTROGO – E là in Cappadocia? Là ne facevi fuori cinquecento, con una botta sola, se non ti si fosse puntata la spada.
PIRGOPOLINICE – Ma sì, li lasciai vivere quelli, erano solo dei soldatucoli.
ARTOTROGO Ma che cosa posso dirti? Tanto lo sanno tutti che di Pirgopolinice, al mondo, ce n’è uno solo, e che il tuo coraggio, la tua bellezza, le tue imprese non hanno eguali! Le donne? Stravedono per te, loro, e mica ci hanno torto, bello come sei. Per esempio, prendi quelle che ieri mi han tirato per il mantello…
PIRGOPOLINICE – Che ti dicevano, eh?
ARTOTROGO – Non la finivano di chiedermi. «Ma è Achille?» mi fa una. E io: «No» le risposi «è suo fratello». E allora un’altra mi fa: «E’ ben bello, per Castore! E la pettinatura? Guarda come gli sta bene! Fortunate quelle che possono infilarsi nel suo letto!».
PIRGOPOLINICE – Dicevano proprio così?
ARTOTROGO – Come no? Tutte e due mi pregavano che ti facessi passare di là, oggi, più o meno come sia fa in processione.
PIRGOPOLINICE – Che guaio essere così bello!
ARTOTROGO – E già. Sono così fastidiose! Pregano, assillano, scongiurano per poterti vedere. Vogliono che ti conduca da loro. Ma così non ti lasciano il tempo di curare i tuoi affari.
TRATTO (CON ADATT. E RIDUZ.) DA MILES GLORIOUS, DI TITO MACCIO PLAUTO, GARZANTI, 2017
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