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Il teatro nell’antica Roma

Perché c’entrano gli Etruschi e i Greci?

Anche se il teatro come genere letterario codificato in Tragedia e Commedia, e cioè il teatro che noi leggiamo nella drammaturgia latina, fu importato dalla Grecia, in realtà i primi che trasmisero ai Romani il piacere di eseguire e assistere a rappresentazioni sceniche, furono gli Etruschi.

Nelle campagne tra l’Etruria e il Lazio si svolgevano infatti, da tempi antichissimi, delle rappresentazioni agresti eseguite da contadini, che sono ben lontane da quello che noi oggi conosciamo come Teatro Latino, ma che ne rappresentano l’embrione e soprattutto hanno trasmesso alla successiva drammaturgia e vita teatrale romana il suo carattere più tipico, cioè l’esclusivo amore dei Latini per la comicità. Infatti, a differenza dei Greci, che amavano la Tragedia, i Romani preferivano ridere e divertirsi, in Teatro.

Il genere tragico, anche se in seguito produsse un nutrito filone di opere, non fu mai veramente popolare a Roma.

Il grosso pubblico preferiva vedere spettacoli di intrattenimento, divertenti e gare agonistiche. Questo è il motivo per cui nei secoli successivi avrebbero avuto così tanta fortuna i giochi e gli spettacoli dei gladiatori.

Quindi la predilezione dei Latini per il genere comico e la scarsa fortuna del genere tragico sono considerati proprio una conseguenza dell’influsso etrusco: una eredità lasciata da queste primissime forme rurali di rappresentazione scenica, denominate: Fescennini.

 

I Fescennini

I Fescennini prendono il nome da una città al confine fra il Lazio e l’Etruria: Fescennium, probabilmente l’attuale Corchiano, un paese in provincia di Viterbo nella Tuscia.

In questa cittadina, nell’atmosfera gioiosa e trasgressiva delle feste per il raccolto, i contadini prendevano dei pezzi di corteccia e vi realizzavano delle maschere, che mettevano sul viso: così mascherati improvvisavano delle scenette, scambiandosi battute vivaci, grossolane, spiritose e volgari al tempo stesso, dialoghi ironici e provocatori dai contenuti sessualmente espliciti, scherzi e balli.

L’insieme di tutto ciò prenderà il nome di Versi Fescennini.

Nonostante la loro popolarità, i Fescennini vennero in seguito banditi dalla Roma antica a causa della natura troppo oscena e volgare, considerata inappropriata per le celebrazioni pubbliche e per la morale.

 

Nascita dei Ludi Scaenici

È ad una circostanza religiosa che risale l’introduzione dei Ludi Scaenici in Roma.

Nel 364 a.C., a seguito di una grave pestilenza, che secondo le credenze antiche era di origine divina, fu deciso di mettere in scena uno spettacolo, come offerta agli Dei, al fine di intrattenerli e placarli. Poiché tale genere di intrattenimento era estraneo agli usi dei Romani, furono invitati dall’Etruria alcuni artisti che eseguirono un programma di sole danze al suono di un flauto. Ciò diede vita a un genere inedito: la satura

 

La Satura

Con la perdita di popolarità dei Fescennini, iniziò a prendere piede nel mondo latino arcaico la Satura.

Essa era fatta di spettacoli con scene improvvisate recitate, parti cantate, intermezzi di danza e musica, che vertevano su una pluralità di argomenti.

L’origine del termine Satura è da ricondursi alla “lanx satura” (piatto farcito): un piatto di primizie pieno di prodotti della terra offerto alla dea Cerere.

La varietà di cibi di questo piatto è appunto l’elemento in comune con la varietà dei contenuti e stili dello spettacolo.

Senza una struttura narrativa definita, la Satura verrà poi messa da parte, non appena inizierà ad emergere l’Atellana.

 

L’Atellana

L’Atellana è da considerarsi l’antesignano della commedia latina.

Si sviluppa agli inizi del terzo secolo a.C. presso la città di Atella, identificata con l’attuale cittadina di Acerra, in Campania.

In questa cittadina si sviluppò una forma di farsa fatta di dialoghi improvvisati, ricchi di scherzi, beffe, colpi di scena e di una comicità anche grossolana. Caratteristiche più o meno simili a quelle che abbiamo descritto per i Fescennini; un tipo di comicità a cui il pubblico romano era già abituato e che incontrava il suo gusto.

L’Atellana, pertanto, riuniva in sé i caratteri della regione in cui era nata e della Commedia Greca. La Campania era infatti una regione a fortissimo influsso greco ed era quindi l’ambiente ideale per una compenetrazione fra spirito greco e italico, nella concezione del comico.

Della Commedia Greca l’Atellana possiede la tendenza alla “tipizzazione”, cioè alla creazione di personaggi tipici, con caratteristiche definite e ben riconoscibili, rappresentate da maschere fisse. È proprio grazie a ciò, che alcuni critici ritengono che l’Atellana sia la matrice originaria della nostra Commedia dell’Arte.

In queste farse (da farcire, verbo latino che significa “riempire alla rinfusa”) gli attori, indossando maschere e travestimenti, impersonavano personaggi fissi, come:

  • Maccusil mangione, ingordo e balordo, apparentemente stupido e sciocco, ma che con la scusa della stupidità si permette di dire cose pungenti. Per alcuni è da identificarsi come l’antenato di Pulcinella. Non a caso sono nati in Campania tutti e due;
  • Pappus – il vecchietto stupido, babbeo, credulone che di solito finisce beffato e deriso;
  • Bucco – il fanfarone e parlatore presuntuoso, che si vanta del niente: lo sborrone.
  • Dossennus – Il gobbo malizioso, dispettoso, ma astuto e intelligente, che con la sua furbizia porta avanti le trame più complesse.

Le Atellane seguivano un canovaccio, una schematica traccia delle vicende da rappresentare, e gli attori improvvisavano, inventando al momento, dialoghi, battute, giochi di parole.

L’Atellana mantenne una certa diffusione anche dopo l’arrivo a Roma dei modelli del Teatro Greco. Tuttavia, a causa della loro natura volgare, le Atellane furono rimpiazzate da altre forme di teatro comico, come le commedie di Plauto e Terenzio.

 

Il Mimo

A Roma era anche presente un’altra forma di teatro, molto popolare tra la fine della Repubblica e per tutto il periodo dell’Impero romano: il mimo, che consisteva nell’imitazione teatrale, solo con i gesti e non con le parole, di situazioni comiche o drammatiche ispirate alla vita quotidiana. Si trattava di attori professionisti che si esibivano utilizzando solo il movimento del corpo e l’espressione facciale per comunicare con il pubblico.

Non erano previste maschere, e per facilitare la danza nemmeno calzature. Inoltre il mimo poteva essere interpretato anche da attrici donne.

Anche il mimo fu criticato dai moralisti e dai censori romani. Tuttavia, nonostante le critiche, continuò a rappresentare un’importante forma di spettacolo teatrale nell’antica Roma fino al IV secolo d.C., quando fu gradualmente sostituito dal Teatro Cristiano.

La sua influenza persiste ancora nella Commedia dell’Arte e in altre forme di teatro popolare che si sono sviluppate in epoche successive.

 

Il Teatro Romano deriva dal Teatro Greco

Il Teatro Greco si diffonde a Roma dopo la conquista delle colonie della Magna Grecia, e soprattutto dopo il 146 a.C., quando tutta la Grecia viene sottomessa alla Repubblica Romana e moltissimi uomini di cultura greci vengono portati nella capitale come schiavi per insegnare nelle case delle famiglie aristocratiche.

Per i Romani, che fino a quel momento non hanno sviluppato un loro teatro originale, quello greco diventa un modello: le tragedie e le commedie da rappresentare vengono tradotte o riprese da quelle greche, adattandole al contesto romano.

Gli attori si organizzano in compagnie stabili in cui anche le donne potevano recitare, ma solo in ruoli mimati, cioè esprimendosi con i gesti e non con le parole.

I testi teatrali vengono rappresentati durante i giochi e le feste, e sono le autorità pubbliche che si occupano, attraverso appositi funzionari, della loro messa in scena.

I romani assistevano agli spettacoli teatrali soprattutto per divertirsi e perciò amavano la vivacità delle commedie, mentre le tragedie, così serie e tristi, erano apprezzate solo da un pubblico di aristocratici ristretto e colto: pertanto vennero rappresentate sempre meno.

Come in Grecia, anche a Roma l’ingresso a teatro era gratuito, ma lo scopo delle rappresentazioni romane non era quello di educare la plebe a una partecipazione consapevole della vita politica; anzi, spesso i testi venivano censurati, per evitare che facessero esplicito riferimento agli eventi contemporanei, mentre veniva esaltato il gusto per la beffa, lo scherzo rozzo, la mimica e i gesti.

 

I principali autori romani

Sono molti gli autori che hanno contribuito a sviluppare la letteratura e il teatro romani, e le loro opere sono ancora studiate e rappresentate oggi. I principali autori sono:

Livio Andronico;

Tito Maccio Plauto;

Terenzio Afro Publio;

Lucio Anneo Seneca.

 

Gli attori e il pubblico

I Romani prediligevano gli scherzi e le beffe, e il teatro, rivolto principalmente a un vasto pubblico di mercanti, servitori e soldati, aveva come proprio fine principale il divertimento.

Il pubblico romano era molto più incolto e indisciplinato rispetto a quello greco.

Tuttavia, nonostante il gradimento del pubblico, la società romana considerava disonorevole la professione di attore e disprezzava chi la esercitava. Chi la praticava infatti era escluso dalle cariche pubbliche, non poteva godere di tutti i diritti civili ed era persino limitato nei diritti di successione. Era insomma considerato un cittadino di serie B.

 

I teatri nel mondo romano

L’uso di teatri in muratura si afferma a Roma solo verso la fine del I secolo a.C.: il primo teatro viene fatto costruire da Pompeo nel 55 a.C..

Nei primi secoli della storia di Roma, infatti, gli spettacoli sono rappresentati su palchi di legno che vengono poi smontati alla fine della rappresentazione.

A partire dall’inizio del I secolo a.C. si cominciano a costruire teatri con strutture solide e durature. Il modello, anche in questo caso, è quello greco, con gli adattamenti necessari a rappresentarvi anche spettacoli quali le lotte dei gladiatori.

Con l’espressione della potenza romana, che va dalla fine del periodo repubblicano e più intensamente dall’età di Augusto (inizio dell’Impero Romano, 27 a.C. – primo anno del principato di Augusto), sorsero maestosi teatri e anfiteatri in pietra in tutta l’Europa occidentale, in Africa e in Oriente, che in parte si possono ammirare anche oggi, quali strumenti simbolici della presenza romana nelle provincie più remote dell’impero.

La differenza più rilevante tra il teatro greco e quello romano è rappresentata dall’uso dello spazio chiamato “orchestra”: a Roma, anziché dagli attori, tale spazio è occupato da poltrone riservate ai Senatori. Inoltre si svilupparono secondo un’originale concezione dell’edificio, più compatto e unitario e funzionalmente inserito nella città. Il teatro fu, così, pienamente integrato all’interno del tessuto urbano e ubicato nei luoghi di maggior rilievo della vita pubblica e cittadina, diversamente da quanto era avvenuto nei territori della Magna Grecia, dove si sfruttavano le pendenze del terreno per le gradinate.

 

L’età imperiale: Panem et Circenses

Le caratteristiche del pubblico romano che abbiamo indicato sopra si accentuano in età imperiale, quando la partecipazione alla vita politica si azzera, poiché tutto il potere è concentrato nelle mani dell’Imperatore e della sua corte.

Alla plebe romana i potenti chiedono solo appoggio e consenso e lo ottengono promettendo panem et circenses, cioè distribuzioni gratuite di grano (panem) e organizzazione di giochi nei circhi (circenses).

In età imperiale, quindi commedie e tragedie vengono rappresentate in occasioni rare e particolari; sono molto frequentati invece i circhi e gli anfiteatri, che sorgono ovunque e ospitano giochi, gare atletiche, corse con le bighe, lotte dei gladiatori, cacce alle belve e perfino vere e proprie battaglie navali.

Le dimensioni degli anfiteatri diventano gigantesche, per contenere un pubblico numerosissimo. I posti sono distribuiti a seconda della classe sociale e della famiglia di appartenenza.

Moltissime fonti attestano la crudeltà di questi spettacoli, molto amati da una plebe volutamente mantenuta in uno stato di emarginazione e di ignoranza.

 

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